Pd pressa M5s e Conte. Di Maio apre sulla Legge elettorale

Urna per il voto.
Urna per il voto.

ROMA. – La parola al Parlamento: in Commissione Affari costituzionali della Camera si potrebbe risolvere “l’incrocio” tra referendum, legge elettorale e altri correttivi, che ha provocato nelle ultime settimane grandi dissapori all’interno della maggioranza.

Obiettivo del Pd è raggiungere la “mission impossible” di ottenere un primo via libera parlamentare entro il 20 settembre su un pacchetto di norme, non solo la legge elettorale ma anche due riforme costituzionali sull’età di voto e i collegi del Senato. Il Presidente Giuseppe Brescia tenterà di ottenere il sì ai testi base nel tentativo di mandarli in aula prima dell’election day, anche se i tempi sono davvero stretti.

Si tratta di una mossa necessaria ai democratici allo scopo di disinnescare le critiche del fronte del ‘no’ interno e agevolare i lavori della direzione del partito, convocata per il 7 settembre, chiamata appunto a decidere definitivamente la posizione Dem sul taglio dei parlamentari.

Il segretario Nicola Zingaretti ha esortato la presa di posizione dei Cinque Stelle ma anche quella di Giuseppe Conte. Tuttavia, se il premier pare che difficilmente interverrà direttamente nella questione, il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio su Facebook lancia anche oggi un messaggio di pace e di apertura all’alleato di governo: “Per quanto riguarda la legge elettorale, come ho già ribadito infinite volte, il M5S rispetta sempre i patti e siamo pronti a votarla già domani”.

Un quesito, quello referendario, che scuote anche Forza Italia. Il partito azzurro sinora non ha preso alcuna posizione ufficiale, ma la scelta di Silvio Berlusconi per il no potrebbe far cambiare gli equilibri interni: una posizione che dà ancora più forza a chi, come Simone Baldelli, vicepresidente dei deputati azzurri, definisce il taglio degli eletti “dannoso alla nostra democrazia”.

Di contro, Laura Ravetto, sostenitrice del sì, auspica che il Cav “dia indicazioni per la libertà di voto”. Il vicepresidente Antonio Tajani, pur ammettendo di non gradire questa riforma, annuncia che l’ultima parola verrà da una riunione del comitato di Presidenza. Per Mariastella Gelmini, la priorità “è la formula per la crescita, non quella per i seggi”.

Intanto, l’autorevole Istituto Cattaneo diffonde una simulazione di quel che succederebbe (se passassero sia la riforma costituzionale sia la riforma elettorale) basata sulla media delle intenzioni di voto nei sondaggi condotti nel mese di agosto. Ne risulta che se venisse approvata la soglia del 5%, prevista dal testo Brescia, o quella del 3%, il centrodestra avrebbe una risicata maggioranza di seggi alla Camera e al Senato (tra il 51% e il 55%).

In tutti i casi, nella costruzione della maggioranza risulterebbe determinante Forza Italia che, pur indebolendosi sia in termini di voti che di seggi rispetto alle elezioni del 2018, potrebbe controllare una quota di parlamentari decisiva per la formazione di un governo di centrodestra.

Sul fronte del centrosinistra, invece, se la soglia si abbassasse dal 5% al 3%, si assisterebbe all’aumento della frammentazione parlamentare perché accederebbero alla ripartizione dei seggi anche Italia viva di Matteo Renzi, Azione di Carlo Calenda e la lista di sinistra (Leu+La sinistra).

“La possibile coalizione formata attorno al Pd e al M5s – sostiene lo studio – diventerebbe al tempo stesso potenzialmente più larga e più fragile. Alla Camera si creerebbe quindi una situazione di stallo, con una sostanziale simmetria di forze tra centrodestra e centrosinistra giallorosso. Al Senato, invece, continuerebbe a prevalere, sebbene in misura ancora più risicata, il centrodestra”.

(di Marcello Campo/ANSA)

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