“Sappiamo chi uccise Olof Palme”, Svezia chiude il caso

Piastra in memoriam dell'ex premier svedese Olov Palme nel posto dove fu ucciso nella strada di Sveavagen Tunnelgatan di Stoccolma.
Piastra in memoriam dell'ex premier svedese Olov Palme nel posto dove fu ucciso nella strada di Sveavagen Tunnelgatan di Stoccolma. (ANSA/EPA/Fredrik Sandberg)

ROMA.  – Dopo 34 anni di misteri la Svezia scrive la parola fine sull’ingombrante dossier dell’uccisione di Olof Palme lasciando aperti molti interrogativi e più di un dubbio. Il procuratore capo Krister Petersson, titolare dell’inchiesta sulla morte del premier, ha annunciato che il killer è Stig Engstrom, designer grafico che si è suicidato nel 2000.

“Dal momento che è morto, non posso incriminarlo, ed ho quindi deciso di chiudere l’inchiesta”, ha affermato in conferenza stampa il magistrato, responsabile dal 2017 della colossale indagine.

Oltre 10 mila persone interrogate, più di 130 false confessioni, 250 metri di faldoni zeppi di documenti per arrivare al nome di Engstrom, circolato ripetutamente nei vari filoni dell’inchiesta come l’uomo di “Skandia”, dalla compagnia di assicurazioni dai cui uffici era uscito la sera del delitto, proprio nei pressi della Sveavagen, centralissima e affollata via di Stoccolma dove il 59/enne Palme cadde crivellato di colpi alle spalle con una 357 magnum accanto alla moglie Lisbet poco dopo essere uscito dal cinema, il 28 febbraio 1986.

Interrogato come testimone all’inizio dell’inchiesta, era stato poi considerato inaffidabile dopo aver cambiato più volte la sua versione dei fatti, ma in molti lo avevano già indicato come il colpevole. A partire dal giornalista Thomas Petterson e da Stieg Larsson, scomparso autore della trilogia “Millenium” e consulente di Scotland Yard, ossessionato dall’omicidio e instancabile “collezionista” di testimonianze e reperti custoditi meticolosamente in quindici scatoloni ritrovati dopo la sua morte nel 2004.

Engstrom odiava Palme per le sue politiche di sinistra, amava e sapeva usare le armi, aveva problemi di alcol e di soldi, ma – come ha ammesso il procuratore Petersson – non c’è ancora un “quadro chiaro” sul movente. Senza nuove prove, senza che sia stata ritrovata l’arma del delitto sono in molti a chiedersi perché la magistratura abbia impiegato così tanto tempo a chiudere quella che l’attuale premier svedese Stefan Lovfen, riferendosi all’incapacità per decenni di trovare l’assassino, ha definito come una “ferita aperta”.

All’inizio si pensò’ a un complotto curdo, perché secondo alcuni Palme avrebbe dato scarso appoggio alle rivendicazioni antiturche del Partito dei lavoratori del Kurdistan(Pkk). In seguito emerse una vaga pista orientale per una vendita di armi; si collegò per un breve periodo il suo nome all’Irangate, cioè allo scandalo emerso nell’America reaganiana di un traffico di armi con il nemico Iran per finanziare i guerriglieri “contras” in Nicaragua, presupponendo quindi l’ipotesi di un coinvolgimento dei servizi segreti svedesi.

Si avanzò l’ipotesi di una congiura della destra internazionale; spuntò un testimone che puntava il dito contro un bianco dello Zimbabwe che lavorava per i servizi segreti del Sudafrica dell’apartheid, di cui Palme era strenuo oppositore.

Ipotesi fantasiose o meno, sono in molti quelli che continuano a farsi delle domande sulle ragioni non chiarite della fine di uno dei maggiori statisti della storia svedese, popolare in patria e all’estero per le sue convinzioni pacifiste e antinucleari e per il suo impegno in difesa dei diritti umani.

(di Eloisa Gallinaro/ANSA)

Lascia un commento