Aria di festa e rimpianti, 30 anni fa le Notti Magiche

Toto' Schillaci esulta per il gol durante la semifinale dei Mondiali Italia-Argentina, in una immagine di archivio. ANSA/ARCHIVIO
Toto' Schillaci esulta per il gol durante la semifinale dei Mondiali Italia-Argentina, in una immagine di archivio. ANSA/ARCHIVIO

ROMA. – L’Italia che esce provata dal contagio ricorda con malinconia e un pizzico di invidia quella ammaliata dal sogno delle notti magiche dei mondiali del 1990. E’ l’8 giugno di 30 anni fa quando, proprio a Milano, in un San Siro ‘avvelenato’ con Maradona (che ha appena scippato col Napoli lo scudetto al Milan) il Camerun del 38/enne Milla abbatte in nove i campioni del mondo argentini con un colpo di testa di Omam Biyik.

E’ il preludio di un evento che catalizza l’interesse planetario in un contesto politico cambiato dagli eventi internazionali. Jugoslavia e Unione Sovietica si presentano per l’ultima volta, la Germania Ovest vincerà con questa denominazione nonostante la caduta del muro di Berlino.

Ma i mondiali sono soprattutto la festa di un popolo che si affeziona alla brillante formazione di Azeglio Vicini che, passo passo, si fa strada allo stadio Olimpico con vittorie a tratti sofferte e a tratti convincenti, conquistato dagli occhi sgranati di Totò Schillaci, il siciliano della Juve, proveniente da un quartiere povero di Palermo, che diventa protagonista con 6 gol in una stagione irripetibile della sua carriera.

Le note di ‘Un’estate italiana’, ribattezzata subito ‘Notti magiche’, con la voce di due cantanti amati come Gianna Nannini ed Edoardo Bennato, sono il leit motiv dell’estate, la colonna sonora di un evento che rimane scolpito nella memoria collettiva.

La copertura televisiva è imponente, le serate sono scandite dal Processo del lunedì edizione mondiale dove si ascoltano le discettazioni forbite di Gianni Brera, ma tanti telespettatori sono attratti, su Tmc, dal fascino di Alba Parietti seduta su uno sgabello a condurre Galagoal.

Ma lo spettacolo è anche il feeling che si instaura tra il pubblico e la nazionale. A maggio a Firenze la squadra è in ritiro in un clima infuocato di sommosse popolari per la cessione di Roberto Baggio alla Juve. Nel ritiro nei castelli romani di Marino però cambia tutto: il lavoro si svolge in armonia e quando la squadra si trasferisce all’Olimpico per le partite è scortata da folle plaudenti che cominciano a credere nella vittoria.

L’Italia trattiene il fiato sognando il bis dei mondiali 1982 e le magagne organizzative emergeranno dopo. Il Col, diretto da Luca di Montezemolo, lavora a tempo pieno, ma i lavori di ammodernamento e ristrutturazione degli stadi creano dei buchi paurosi: un costo di 7.230 miliardi, di cui 6.000 pagati dallo stato con una perdita di 1.248 miliardi, superiore dell’84 per cento alla cifra preventivata. Stadi faraonici, strutture inutilizzate sotto lo sguardo distratto del sesto governo Andreotti.

All’Olimpico l’Italia di Zenga e Maldini, Giannini e Donadoni, Vialli e Carnevale supera Austria, Stati Uniti e Cecoslovacchia nel girone eliminatorio con gli ingressi decisivi di Baggio e Schillaci, Uruguay negli ottavi (in una serata infestata da moscerini e zanzare), Irlanda nei quarti.

Una marcia trionfale che crea grandi aspettative. L’Olanda campione d’Europa viene eliminata, perde 2-1 con la Germania a Milano in una sfida dal sapore di derby (da una parte i milanisti Rijkaard, Van Basten, Gullit, dall’altra gli interisti Brehme, Matthaeus e Klinsmann).

Un modesto Brasile esce con l’Argentina, l’Inghilterra elimina la sorpresa Camerun di N’kono e Milla, beniamina dei tifosi italiani. E arriva il dramma delle semifinali: in un S.Paolo che tifa in buona parte Maradona l’Argentina elimina l’Italia ai rigori. E’ uno choc che ammutolisce una nazione che si consola blandamente col terzo posto conquistato battendo l’Inghilterra a Bari.

Nella brutta finale dell’Olimpico la Germania degli interisti e di Voeller supera l’Argentina di un acciaccato e fischiato Maradona con un discutibile rigore trasformato da Brehme. Il mondiale va in archivio con rimpianti e voragini economiche che verranno scoperte dopo. Ma rimane il profumo di un’atmosfera di festa e di unità intorno alla maglia azzurra che, salvo il successo nei mondiali del 2006, non si ritroverà più.

(di Giorgio Svalduz/ANSA)

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