L’affaire Cummings azzoppa Johnson, tegole sul governo

L'assesore speciale del primo ministro britannico Boris Johnson, Dominic Cummings si accinge a montare in bicicletta.
L'assesore speciale del primo ministro britannico Boris Johnson, Dominic Cummings si accinge a montare in bicicletta. Archivio. (ANSA/EPA/ANDY RAIN)

LONDRA.  – Da guru del consenso a catalizzatore di sdegno e dissensi, fra il popolo come nel palazzo: Downing Street e Boris Johnson sono a un passo dal perdere il controllo delle conseguenze dello scandalo della violazione del lockdown imputata a Dominic Cummings.

La conferenza stampa umiliante con cui l’influente braccio destro del premier Tory britannico è stato consegnato lunedì in pasto ai giornalisti per un incerto tentativo d’auto-giustificazione lascia il caso apertissimo nel Regno Unito – fra interrogativi, contestazioni, polemiche furenti – e minaccia di azzoppare lo stesso governo, colpito dalle prime dimissioni di protesta.

A rompere i ranghi della compagine nata dopo il trionfo elettorale di sei mesi fa, è stato Douglas Ross, giovane sottosegretario al ministero per la Scozia. Il ribelle, 37enne esponente dei Tory scozzesi, ha spiegato di non conoscere personalmente “Dom” e di essere pronto a concedere il beneficio del dubbio alla soggettiva interpretazione delle restrizioni che il 27 marzo lo avrebbe spinto a trasferirsi con la moglie e il figlio di 4 anni da Londra a Durham, a quasi 500 chilometri di distanza, nel pieno del lockdown, per isolarsi in una proprietà di famiglia coi sintomi del coronavirus.

Ma di non potere accettare l’idea – avallata da Johnson, non “dalla maggioranza delle persone” comuni – che questo comportamento sia stato oggettivamente “legale e ragionevole”.

“Ho elettori del mio collegio – ha rincarato Ross nella lettera aperta di congedo – che non hanno potuto dire addio a dei loro cari o non hanno visitato familiari malati per seguire le linee guida del governo; non posso in buona fede dir loro che hanno tutti sbagliato e un consigliere senior del governo ha avuto ragione”.

Un atto d’accusa che fa a pugni con l’insistente rifiuto di Johnson di prendere le distanze dal più potente, discusso ed efficiente dei suoi pretoriani, dalla sua ombra aparentemente indispensabile, nemmeno dopo che ieri il gran burattinaio del referendum sulla Brexit ha rifiutato anche solo di scusarsi.

“Il Primo Ministro crede che Dominic Cummings abbia agito legalmente per proteggere la sua famiglia e gli altri”, ha insistito un portavoce; mentre il ministro della Sanità, Matt Hancock, incalzato nella conferenza stampa di giornata in cui sperava di poter parlare dell’avvio della sperimentazione nazionale di un farmaco antivirale finalmente “promettente”, il Remdesivir, è arrivato a non escludere una revisione delle multe di chiunque si sia trovato in circostanze analoghe a quelle di Cummings.

La sensazione di molti è del resto che Dom abbia piegato le regole a piacimento, facendo pesare le sue preoccupazioni di padre e di marito come un privilegio non consentito all’uomo della strada. Dapprima con la “fuga” a Durham, poi con la gita fuori porta nel giorno di Pasqua verso il sito turistico di Barnard Castle, motivata con l’inverosimile alibi di un test visivo di guida prima del lungo viaggio di ritorno del giorno dopo verso Londra.

Qualcosa d’inaccettabile nel comune sentiré britannico, che alimenta – quanto e più dell’ostilità personale di una parte dell’establishment contro il ruvido Cummings – l’irritazione collettiva: testimoniata da un sondaggio YouGov secondo cui il 71% degli intervistati ritiene che il braccio destro di BoJo abbia in effetto trasgredito le norme e da altre rilevazioni che accreditano un crollo del 20% dell’approvazione del governo in questa vicenda, con contraccolpi sulla credibilità e sul rispetto delle indicazioni date al Paese.

A cavalcare e riflettere l’indignazione spontanea non solo d’altra parte solo le opposizioni, il grosso dei media, scienziati, poliziotti, funzionari o vescovi anglicani progressisti come Helen-Ann Hartley, capo (donna) della diocesi di Ripon, giunta in queste ore a denunciare d’aver ricevuto come altri presuli minacce di morte per mail.

Ma anche ormai una una quarantina di deputati Tory, inclusi falchi brexiteer di grido come Steve Baker e Peter Bone o l’ex attorney general Jeremy Wright, che paventano apertamente “il danno politico” di questa faccenda sul governo, criticano Dominic Cummings e ne chiedono le dimissioni o il siluramento.

Una fronda che, se non mette in dubbio la super maggioranza parlamentare di Boris, rischia d’indebolirlo in un momento cruciale: segnato, a dispetto delle promesse d’avvio della Fase 2 a giugno e del trend in discesa dei contagi, da dati tragici sul totale dei morti per Covid-19 sull’isola (37.000 quelli accertati col tampone, 47.000 quelli probabili).

Oltre che dallo tsunami economico all’orizzonte e dai negoziati in bilico sulle relazioni future con l’Ue.

(di Alessandro Logroscino/ANSA)

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