Confcommercio, rischio chiusura per 270 mila imprese

Un pedone davanti ad un negozio con la serranda abbassata a Milano.
Un pedone davanti ad un negozio con la serranda abbassata a Milano. ANSA / PAOLO SALMOIRAGO

ROMA.  – La saracinesca potrebbe non tornare ad alzarsi: 270 mila imprese del commercio e dei servizi  rischiano  la chiusura definitiva se le condizioni economiche non dovessero migliorare rapidamente, con una riapertura piena ad ottobre.

É l’allarme lanciato dall’Ufficio Studi Confcommercio in un rapporto sul rischio di chiusura delle imprese del terziario per l’impatto del Coronavirus, mentre il Cerved calcola che nell’intero 2020 andranno in fumo tra i 348 e i 475 miliardi di fatturato e  tra i 161 e i 196 miliardi nel 2021 rispetto alle tendenze previste prima del Covid19.

Unico spunto incoraggiante arriva  dalla maggiore predisposizione in termini di flessibilità: alla prova del lockdown, una impresa su quattro è arrivata – almeno in parte – preparata.

Il 24,6% delle imprese italiane, infatti, ha investito nell’adozione di sistemi di smart working per innovare il proprio modello organizzativo aziendale tra il 2015 al 2019. Il dato, che emerge dal bollettino annuale del Sistema informativo Excelsior di Unioncamere e Anpal, è cresciuto rispetto al 2018 del 23,5%.

Ma in generale, quello che si prefigura per il tessuto dell’economia è un colpo pesantissimo che  potrebbe sfociare anche in  scenari  peggiori, tenuto conto che – nel caso dell’analisi di Confcommercio –  si tratta di stime “prudenziali”.

Le previsioni sulla mortalità delle imprese potrebbero  infatti rivelarsi  anche più elevate  “perché, oltre agli effetti economici derivanti dalla sospensione delle attività – viene spiegato nel rapporto di Confcommercio –  va considerato anche il rischio, molto probabile, dell’azzeramento dei ricavi a causa della mancanza di domanda e dell’elevata incidenza dei costi fissi sui costi di esercizio totali che, per alcune imprese, arriva a sfiorare il 54%. Un rischio che incombe anche sulle imprese dei settori non sottoposti a lockdown”.

Su un totale di oltre 2,7 milioni di imprese del commercio al dettaglio non alimentare, dell’ingrosso e dei servizi – viene spiegato nel rapporto dell’Ufficio Studi di Confcommercio – quasi il 10% è, dunque, soggetto ad una potenziale chiusura definitiva. I settori più colpiti sarebbero gli ambulanti, i negozi di abbigliamento, gli alberghi, i bar e i ristoranti e le imprese legate alle attività di intrattenimento e alla cura della persona.

Mentre, in assoluto, le perdite più consistente si registrerebbero tra le professioni (-49 mila attività) e la ristorazione (-45 mila imprese). Per quanto riguarda la dimensione aziendale, il segmento più colpito sarebbe quello delle micro imprese – con 1 solo addetto e senza dipendenti – per le quali basterebbe solo una riduzione del 10% dei ricavi per determinarne la cessazione dell’attività”.

E osservando più in dettaglio i calcoli del Cerved emerge che nel 2020 la perdita di fatturato oscilla tra un  -12,7% e -18%  rispetto al 2019. Un andamento che  implica cadute del Pil  quest’anno comprese tra -8,2% e -12%.

E se nel 2021 è previsto un rimbalzo dell’economia tuttavia non si tornerebbe  ai livelli pre-crisi “con i ricavi che rimarrebbero tra il 2,9% e il 4,3% al di sotto di quelli del 2019”.

Lascia un commento