l cane ha mangiato i compiti

Il cane mangia i compiti

“Il cane mi ha mangiato il compito” è una scusa classica offerta per un’inadempienza. Presenta il vantaggio di essere teoricamente possibile: i cani fanno danni, arrivano a distruggere i documenti. Difetta però di plausibilità.

Ognuno di noi si è trovato nella necessità di dover inventare – in fretta e in colpa – una giustificazione per qualche tipo di mancanza: un compleanno dimenticato, un compito lasciato a metà, un’offesa recata involontariamente. Spesso la scusa proferta è inadeguata e peggiora il buco che  ci stiamo scavando sotto i piedi.

Ora la filosofa Paulina Sliwa, una ricercatrice di etica e di epistemologia morale dell’Università di Cambridge, ha fatto uno studio sistematico della questione, esaminando gli elementi che permettono di formulare una scusa ottimale. Il suo “The Power of Excuses” è apparso l’anno scorso su Philosophy And Public Affairs.

Le giustificazioni che offriamo per i nostri misfatti sono tante: stanchezza, stress, “troppo da fare”, un’emicrania, i bambini che piangono, mille cose. La Sliwa voleva identificare gli elementi che danno una plausibilità morale alle varie scusanti. A suo avviso le scuse sono “ammissibili” quando confermano che anche se non abbiamo agito bene, l’intento morale sottostante era adeguato.

Un intento implica un piano d’azione. Così, è opportuno che la scusa dimostri che il piano sia stato ostacolato durante l’esecuzione. Per la Sliwa: “Le scuse efficaci mitigano la nostra colpa, ma non ci assolvono completamente”. Cambiano però la percezione degli altri del nostro ‘misfatto’ e influiscono pertanto su quello che dobbiamo fare per compensare. Si tratta cioè di una sorta di trattativa sulla “penale” che dobbiamo pagare.

La filosofa scrive: “Una scusante efficace deve rendere plausibile che sia stato un fattore esterno ad ostacolare l’esecuzione di un intento moralmente adeguato.  Perciò ‘Non dormo da tre giorni’ o ‘Ero preoccupato per mia mamma’ funzionano… mentre non funzionano mai gli appelli alla debolezza di volontà: ‘Non ho potuto resistere’ o ‘La tentazione era troppo forte’”. Anche gli appelli alla coercizione o alla provocazione sono poco soddisfacenti per lo stesso motivo.

Quindi? “Quella bestia del mio cane – sa, è un mastino – ha insistito per mangiare il compito. Non potevo farci niente”. Se non altro, potrebbe strappare un sorriso…

(di James Hansen)

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