Coronavirus, Oms: “Virus Cina e peste, parole da evitare”

Coronavirus: medici ed infermieri danno assistenza a pazienti con sintomi da coronavirus.
Coronavirus: medici ed infermieri danno assistenza a pazienti con sintomi da coronavirus. EPA/DAVID CHANG

ROMA. – Non parlare, scorrettamente, di ‘virus cinese’ in riferimento alla malattia da nuovo coronavirus ma utilizzare il nome ufficiale dato alla patologia. E’ uno dei consigli dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) in termini di linguaggio quando si parla dell’attuale emergenza.

L’obiettivo è evitare lo stigma e l’Oms stila una guida di consigli, con le cose ‘da fare’ o ‘non fare’. La guida è in collaborazione con IFRC (International Federation of Red Cross e Red Crescent Societies) e Unesco, ed è rivolta alle istituzioni governative, ai media e alle organizzazioni che lavorano nel campo della nuova malattia da coronavirus. –

COSA FARE

Parlare della nuova malattia da coronavirus (COVID-19). Cosa non fare – Associare luoghi o etnie alla malattia, questo non è un “virus di Wuhan”, un “virus cinese” o un “virus asiatico”. Il nome ufficiale della malattia è stato scelto deliberatamente per evitare la stigmatizzazione: ‘CO’ sta per Corona, ‘VI’ per virus e ‘D’ per malattia, il 19 è perché la malattia è emersa nel 2019.

COSA FARE

Parlare di “persone che hanno COVID-19”, “persone che sono in cura per COVID-19”, “persone che si stanno riprendendo da COVID-19” o “persone che sono morte dopo aver contratto COVID-19”. Cosa non fare – Riferirsi a persone con la malattia come “casi COVID-19” o “vittime”.

COSA FARE

Parlare di “persone che potrebbero avere COVID-19” o “persone che si presume abbiano il COVID-19”. Cosa non fare – Parlare di “sospetti COVID-19” o di “casi sospetti”.

COSA FARE

Parlare di persone che “hanno preso” o “hanno contratto” il COVID-19. Cosa non fare – Parlare di persone che “trasmettono COVID-19”, “infettano gli altri” o “diffondono il virus” poiché implica una trasmissione intenzionale e attribuisce una colpa. L’uso della terminologia “criminalizzante o disumanizzante crea l’impressione che chi ha la malattia abbia in qualche modo fatto qualcosa di sbagliato o sia meno umano di noi, alimentando così lo stigma, minando l’empatia e potenzialmente alimentando una maggiore riluttanza a farsi curare o a sottoporsi a screening, test e quarantena”.

COSA FARE

Parlare in modo accurato del rischio derivante da COVID-19, sulla base di dati scientifici e delle più recenti raccomandazioni fornite dalle istituzioni preposte, che operano per la salute. Cosa non fare – ripetere o condividere voci non confermate ed usare un linguaggio iperbolico creato per generare paura ad esempio utilizzando parole come “peste”, “apocalisse”.

COSA FARE

Parlare in modo positivo ed enfatizzare l’efficacia delle misure di prevenzione e trattamento. Per la maggior parte delle persone questa è una malattia dalla quale si guarisce. Ci sono semplici passi che tutti possiamo fare per mettere al sicuro noi stessi, i nostri cari e i più vulnerabili. Cosa non fare – enfatizzare o soffermarsi sul negativo o sui messaggi di minaccia. Dobbiamo lavorare insieme per aiutare a proteggere le persone più vulnerabili.

COSA FARE

Sottolineare l’efficacia dell’adozione di misure protettive per prevenire l’acquisizione del nuovo coronavirus, effettuare screening, test e farsi curare.

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