Nodo commissario europeo e conti 2020, tensione Salvini e Conte

Faccia a faccia tra Matteo Salvini (S), vice premier e ministro dell'Interno, e Giuseppe Conte, presidente del Consiglio.
Faccia a faccia tra Matteo Salvini e Giuseppe Conte, presidente del Consiglio. ANSA/RICCARDO ANTIMIANI

STRASBURGO. – La parola “rimpasto” è ancora un tabù, ma a questo porta l’onda lunga della partita delle nomine al vertice dell’Ue. Matteo Salvini chiede a Giuseppe Conte di accelerare la scelta del nuovo ministro degli Affari europei, in quota Lega: il nome potrebbe essere quello del titolare della Famiglia, Lorenzo Fontana (ma circolano anche i nomi di Alberto Bagnai e Guglielmo Picchi). E c’è da individuare il commissario europeo. Dovrebbe avere la concorrenza, ma tra i leghisti che arrivi quel portafoglio non lo si dà per scontato.

In ogni caso, sono convinti in casa Cinque stelle, dopo il 20 luglio, quando si chiuderà la finestra elettorale di settembre, si aprirà il dossier rimpasto. Luigi Di Maio non lo vorrebbe e aspetta che a chiederlo sia Salvini. Ma se si era fermato dopo le europee, l’ingranaggio degli assetti di governo è in moto.

Il premier Conte si gode un successo che a Palazzo Chigi considerano tutto suo: aver evitato la procedura d’infrazione. “E’ un grande risultato per l’Italia, che ha avuto il riconoscimento che merita. Questo dimostra anche la serietà e la credibilità del nostro Paese e la responsabilità dei governanti. I nostri conti sono in ordine, ci sono tutti i presupposti per proseguire con fiducia”.

Sarebbe preoccupante, osservano a Palazzo Chigi, se qualcuno nel governo non fosse soddisfatto, perché si è messo al riparo il Paese da una procedura che sarebbe stata devastante. Ma in casa leghista mal digeriscono la lettera inviata da Conte e da Giovanni Tria per dare rassicurazioni nel 2020. Quella lettera, che lascerebbe margini strettissimi per far la flat tax, Salvini – fanno notare – non l’ha firmata. Anzi, il vicepremier continua a chiedere di accelerare la tassa piatta, per mettere alla prova la volontà del premier. Disponibilissimi a iniziare a parlarne, spiegano a Chigi, ricordando quanto va ripetendo Conte.

Ad alimentare scontento nella maggioranza c’è per ora un altro dossier, quello delle nomine Ue. Certo, non è il “dream team”, dicono a Palazzo Chigi, ma alla vigilia veniva considerato a dir poco complicato ottenere la concorrenza, una vicepresidenza di commissione e un posto nel board della Bce. Ma assistere da Roma all’elezione al vertice del Parlamento europeo di un socialista, del Pd, che invocava “cordoni anti Lega” suona a più d’uno in via Bellerio come “una beffa”.

I Cinque stelle, che hanno lasciato libertà di voto e dato la possibilità ai loro eurodeputati di votare Sassoli, ribattono che se Salvini non avesse posto il veto sul socialista Timmermans alla Commissione, Sassoli non avrebbe avuto nessuna possibilità al Parlamento. Digerire i nuovi nomi al vertice dell’Ue è assai difficile per i partiti di governo. Di Maio si premura di dichiarare che “non chineremo la testa con Lagarde alla Bce”. E i leghisti a microfoni spenti parlano di “sconfitta” e mostrano scetticismo sulla reale possibilità di ottenere il portafoglio della concorrenza.

E’ anche per questo, in attesa di capire cosa spetterà all’Italia, che Giancarlo Giorgetti starebbe continuando a resistere al pressing di Salvini perché vada a fare il commissario. E’ il nome, ragiona qualche leghista, più solido per affrontare il giudizio dell’Europarlamento. In alternativa si cita Luca Zaia, ma il governatore vorrebbe correre per il terzo mandato in Veneto. O Gianmarco Centinaio. Circola nel governo anche l’idea di indicare il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi. Ma Salvini non sembra intenzionato a lasciargli il posto di un leghista.

Tutt’altro discorso il rimpasto vero e proprio. Per colmare i posti rimasti vacanti nel governo dopo le dimissioni dei leghisti Siri e Rixi e che potrebbero restare vuoti per la nomina europea o anche per le dimissioni di Massimo Garavaglia, se condannato. Una volta aperto il varco – osserva un M5s – chissà che non si finisca a varare un Conte bis.

Tra i parlamentari pentastellati sarebbe forte il pressing per un ricambio al governo, a dispetto delle resistenze opposte dai ministri. Di Maio per ora non sembra voler aprire il faldone e con lui Conte. Ma che il tema si ponga viene considerato inevitabile. E allora via al balletto.

(dell’inviata Serenella Mattera/ANSA)

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