Damasco, è massima allerta dopo la strage

Damasco – E’ massima allerta a Damasco all’indomani del duplice attentato kamikaze costato la vita ad almeno 44 persone. Alcuni residenti parlano di posti di blocco della polizia in ogni angolo della capitale, dove la tensione rimane altissima. Le forze di sicurezza hanno fatto scattare una vera e propria caccia all’uomo per catturare i responsabili della strage, che secondo Damasco è da imputare ai terroristi di al-Qaeda.


“Decine di persone di diverse zone di Damasco sono state fermate dalle forze di sicurezza per sottoporle a un interrogatorio”, ha affermato un attivista nella capitale, citato dall’agenzia d’informazione ‘Dpa’. Alcuni oppositori a Beirut hanno riferito di nuove operazioni in corso contro i dissidenti nelle province di Idlib, nel nord, e Homs, nel centro.


Oggi intanto si sono tenuti i funerali delle vittime. La tv di Stato siriana ha seguito in diretta la cerimonia funebre in corso nella moschea degli Omayyadi della capitale, dove centinaia di persone si sono riunite in preghiera dietro una fila di bare avvolte dalla bandiera siriana. Diverse migliaia di persone erano invece presenti all’esterno della moschea per partecipare alla preghiera funebre.


Dal canto loro i Fratelli Musulmani siriani negano di aver rivendicato il duplice attentato. Intervenendo telefonicamente sulla tv satellitare ‘al-Arabiya’, il portavoce della sezione siriana del gruppo islamico, Mohammed Faruq Tayfur, ha spiegato che “il sito sul quale è apparso il comunicato nel quale si dice che una brigata dei Fratelli Musulmani avrebbe eseguito l’attacco di ieri è un sito falso, fabbricato ad arte dal regime siriano per screditarci”.


Quello siriano è un dramma”, e il presidente Bashar al-Assad come l’ex leader libico Muammar Gheddafi “ha reso schiavo un popolo per se stesso”. Lo afferma monsignor Giovanni Martinelli, vescovo di Tripoli, all’indomani della strage di Damasco e dopo oltre nove mesi di violenze in Siria che, secondo dati Onu, hanno fatto almeno cinquemila morti. “E’ un mistero come la sete di potere abbia reso schiavo Assad”, prosegue il vescovo interrogandosi su come possa risolversi la crisi siriana e manifesta qualche perplessità, “dubbi, perché la Siria non ha la Nato che l’appoggia”. Eppure monsignor Martinelli rimane ottimista e “fortemente convinto che si possa sempre trovare una soluzione”. “Non credo che Assad – sottolinea – sia tanto tiranno da non poter essere coinvolto nel dialogo”.


Quanto alla fine dell’era di Muammar Gheddafi è stata “la liberazione da un incubo: non c’è più l’incubo di essere spiati, di dover dire il ‘giusto’, c’è invece la possibilità di respirare a polmoni aperti la libertà”.E di una “conquista molto importante per i libici, che si sentono ora liberi di agire e parlare, dopo 42 anni di sofferenze”. “E la comunità cristiana di Libia (per lo più stranieri, ndr) – sottolinea Martinelli nella chiesa di San Francesco – in sintonia con i libici, percepisce questo senso di nuova libertà, vive sapendo che ora non c’è più Gheddafi che mette i bastoni tra le ruote”. Tuttavia, il vescovo di Tripoli rimane convinto che il Colonnello, catturato il 20 ottobre a Sirte e poi morto, “avrebbe potuto essere coinvolto nel dialogo, ma la Nato ha avuto paura”. L’alleanza, dice, “non è stata in grado di concordare una tregua. Io personalmente avevo chiesto una tregua, tre giorni, con il coinvolgimento degli Stati africani, della Russia e di persone di un certo livello per convincere Gheddafi al dialogo”.


Martinelli definisce inoltre ingiustificato il timore suscitato dalle parole delle nuove autorità politiche libiche che hanno fatto riferimento alla sharia per la legislazione della Libia del dopo Gheddafi. E punta il dito contro i media, colpevoli a suo avviso di non aver capito la connotazione “positiva” di quelle affermazioni. “La sharia è un’espressione da prendere in senso positivo”, dice il vescovo . L’obiettivo del Consiglio nazionale di transizione (Cnt) è “garantire alla società libica le regole per affidarsi a Dio e non si vuole assolutamente parlare di fondamentalismo”. Il riferimento alla sharia, conclude, era “un senso benefico e positivo dal punto di vista della religione”.


Questo è un “Natale pieno di speranza” per la comunità cristiana in Libia, aggiunge poi Martinelli che parla della “buona volontà di tanti libici che vogliono una pace sicura” dopo 42 anni sotto Muammar Gheddafi. “Una pace di riconciliazione – precisa – tra le tribù e i diversi settori della società”. “E’ una volontà che esiste, bisogna aiutare i libici a trovare la via giusta per l’equilibrio”, spiega parlando nella Chiesa di San Francesco a Tripoli al termine della messa del mattino perché, conclude il vescovo, “ci sono stati momenti di rivalsa, in qualche settore, ma sono stati messi a tacere”.


Alla messa della vigilia di Natale hanno partecipato una cinquantina di africani dei circa duemila o tremila che, secondo Monsignor Martinelli, sono rimasti a Tripoli dall’esodo registrato durante la rivolta contro Gheddafi. Insieme a loro nella capitale libica, stando ai dati del vescovo, sono rimasti anche tremila filippini che lavorano per lo più negli ospedali. Prima dello scoppio a febbraio delle proteste contro il Colonnello, erano invece circa 100mila i cristiani a Tripoli.