Studente Usa annegato nel Tevere, clochard a processo

Accusato di omicidio, lo avrebbe spinto dopo lite

ROMA. – Il gup di Roma ha rinviato a giudizio, con l’accusa di omicidio preterintenzionale, Massimo Galioto, il clochard di 41 anni accusato di aver spinto nel Tevere Beau Solomon, studente americano di 19 anni, poi morto per annegamento la notte tra il 30 giugno ed l’1 luglio 2016. Il processo è stato fissato per il prossimo 8 maggio davanti ai giudici della terza corte d’assise.

Secondo l’accusa quella notte l’imputato avrebbe avuto un violento litigio con lo studente della John Cabot University, giunto ubriaco sulla banchina del Tevere, a poca distanza dall’isola Tiberina. Galioto lo avrebbe spintonato, dandogli due calci e scaraventandolo nel fiume. Il clochard fu arrestato il 7 luglio del 2016 per omicidio volontario. A dicembre 2016, dopo cinque mesi in carcere, il gip dispose però la scarcerazione dell’uomo dopo aver evidenziato come le dichiarazioni dell’ex compagna, sua accusatrice, “non sono state sempre coerenti” e a tratti “sono state pure lacunose”.

Per il giudice un fatto chiave era la forte miopia di cui è affetta la Pennacchioli (la compagna, ndr) che “è solita indossare a correzione degli occhiali rotti”. Una situazione che può averla portata a non avere percepito “in condizioni di scarsa illuminazione e a diversi metri di distanza” e per giunta interrompendo “un breve sonno indotto dall’assunzione di psicofarmaci”, la presenza di “più attori” sulla scena.

“Ci aspettavamo il rinvio a giudizio ma siamo sufficientemente tranquilli – ha detto l’avvocato Michele Vincelli, difensore dell’imputato -. Non credo proprio che ci possano essere elementi per condannarlo. La Pennacchioli è stata sentita otto volte, vorrà dire che la sentiremo in aula per l’ennesima volta”.

Dal canto suo l’avvocato di parte civile, Giuseppe Zalanda, ha commentato la decisione del gup Anna Maria Gavone affermando che “la famiglia di Beau Solomon ha fiducia nella giustizia affinché sia individuato il responsabile. A noi interessa accertare la verità, abbiamo letto gli atti e siamo convinti che l’imputazione sia fondata. Non c’erano elementi per non disporre il rinvio a giudizio. Galioto forse non voleva uccidere il ragazzo, ma, dopo la lite, lo ha spinto. La morte probabilmente non era voluta ma non ha fatto nulla per salvare quel ragazzo”.

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