Giornalisti in Italia, la peggiore condizione lavorativa dell’Ue

Il nostro è l’unico paese al mondo nel quale il presidente del Consiglio controlla direttamente la quasi totalità delle reti televisive nazionali: i tre canali della tv di Stato Rai in quanto primo ministro e il più grande gruppo radiotv privato (tre canali nazionali, oltre a diversi giornali e a un network radiofonico). La politica continua ad avere, per legge, una forte ingerenza nelle nomine delle tv e delle radio di Stato e, in generale, ha sempre più influenza anche sui media che non sono di proprietà statali.

La tv, fonte di informazione per oltre l’80% degli italiani, attira altissime percentuali delle risorse pubblicitarie, cosa permessa dalla legge Gasparri (che ha fatto parte del governo Berlusconi) che ha annullato qualsiasi limite di antitrust.
Per i giornalisti è difficile investigare sul mondo della politica e dell’economia. Spesso le istituzioni o i gruppi economici del paese si rifiutano di fornire informazioni ai giornalisti, facendosi scudo del diritto di privacy, in realtà abusandone e non rispettandone le norme. Rimane, poi, anche il problema dell’accesso alla professione giornalistica, possibile solo attraverso un esame di stato e con l’obbligo di iscrizione a un ordine professionale, e la presenza nel corpo delle leggi dello Stato italiano di misure molto pesati per i giornalisti in caso di diffamazione, come il carcere e forti multe.


I giornalisti che indagano sulla criminalità organizzata, soprattutto al Sud, lo fanno a loro rischio. Molti vengono minacciati. Sono ormai famosi i casi di Roberto Saviano, Lirio Abbate e Rosanna Capacchione che vivono sotto scorta per essere stati ripetutamente minacciati di morte.

Pressioni ed attacchi dal premier Berlusconi

Negli ultimi mesi il Presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi ha moltiplicato le pressioni sull’informazione e gli attacchi alla libertà di stampa. Il premier non tollera le inchieste della stampa sugli intrecci tra la sua vita privata e la sua funzione pubblica e per questo ha reclamato risarcimenti milionari da due quotidiani nazionali e querelato altri quotidiani francesi e britannici.

Si sono anche moltiplicati gli episodi di pressione sulla tv statale Rai, da parte del premier (già proprietario del più importante gruppo editoriale privato italiano Mediaset), per manipolare la linea editoriale delle testate. Tentativi che, spesso, vanno a buon fine per l’accondiscendenza di direttori e giornalisti, più moderni lacchè che intellettuali indipendenti di una democrazia. Colpito anche il cinema, con le pressioni esercitate sulla Rai per impedire la diffusione del trailer del film “Videocracy”.

Il premier e i suoi consiglieri cercano di influenzare la scelta dei giornalisti cui verrà affidata la conduzione di trasmissioni politiche e, in altri casi, mettono in campo minacce dirette nei confronti di giornalisti scomodi. Comportamenti che poi vengono presi ad esempio da alcuni sodali del Premier italiano, come successo al Tg1, dove tre giornalisti non allineati con la linea politica sono stati cacciati.

Tutti questi episodi mettono in evidenza che esiste un grave problema di rapporto tra politica, verità e informazione. Come la legge sulle intercettazioni: il Ddl è una museruola alla stampa libera. Il testo non solo prevede multe salate e il carcere per giornalisti e media che pubblicheranno il contenuto o il riassunto di intercettazioni per le quali è stata ordinata la distruzione, ma addirittura prevede multe e carcere anche per la pubblicazione di documenti pubblici, come le disposizioni del Gip.

Le azioni di Silvio Berlusconi non solo mettono a repentaglio la sua credibilità, ma anche quella dell’UE. L’Europa non può permettersi il lusso di denunciare comportamenti politici inaccettabili in Paesi al di fuori delle proprie frontiere e, al contempo, tollerare “eccezioni” nei membri.