Embargo e price cap sul petrolio, l’ira del Cremlino

In una foto d'archivio il presidente russo Vladimir Putin durante l'inaugurazione di un oleodotto in Russia.
In una foto d'archivio il presidente russo Vladimir Putin durante l'inaugurazione di un oleodotto in Russia.

BRUXELLES. – L’Unione Europea trova la quadra e tenta di mettere all’angolo la Russia con un destro-sinistro là dove fa più male: l’energia. Lunedì, infatti, entrerà finalmente in vigore l’embargo alle importazioni di petrolio (via mare) nell’Ue, che ammontano a circa il 94% del greggio sinora acquistato. Poi – ed è la novità – il Consiglio ha formalmente varato il ‘price cap’ alla commercializzazione del petrolio russo nel mondo, con la tagliola fissata a 60 dollari al barile.

L’accordo nasce in ambito G7 e ora vedrà l’armonizzazione della misura nelle legislazioni di tutti i partner della coalizione, con il doppio obiettivo di “stabilizzare” i prezzi e colpire gli introiti del Cremlino. Che infatti tuona: “Non lo accetteremo”. Embargo e tetto sono due sanzioni distinte ma complementari.

L’Ue, da un lato, dal 5 dicembre dirà essenzialmente addio all’oro nero di Putin – il 5 febbraio sarà poi la volta dei prodotti petroliferi – salvo alcune esenzioni concesse ai Paesi senza accesso al mare; dall’altro, vietando l’erogazione di servizi marittimi chiave come finanziamento, assicurazione, trasporto e intermediazioni a quei Paesi e operatori che non accettano di commerciare o acquistare il petrolio russo sotto al tetto fissato, punta alla giugulare dell’architettura economica russa – che basa sul greggio il 37% del suo bilancio – ‘ingolosendo’ al contempo i Paesi emergenti e non allineati, che potranno godere di prezzi scontati.

“Molte nazioni asiatiche ci hanno assicurato in via confidenziale che aderiranno”, assicura un alto funzionario Ue. Il tetto “ridurrà immediatamente la più importante fonte di entrate di Putin”, afferma il segretario al Tesoro degli Stati Uniti, Janet Yellen. “L’economia della Russia sarà distrutta, pagherà e sarà responsabile di tutti i suoi crimini”, gli fa eco il capo dello staff presidenziale ucraino Andrey Yermak, secondo il quale il tetto sarebbe dovuto essere fissato a 30 dollari “per distruggerla più velocemente”.

Il valore finale è stato frutto di un compromesso tra i 27, con i Baltici – specie l’Estonia – e la Polonia, che parteggiavano per l’approccio draconiano di Kiev. Ma la verità è che ci troviamo in acque inesplorate, nessuno sa con precisione cosa accadrà sui mercati nelle prossime settimane e dalla Commissione fanno sapere che il tetto a 60 dollari è un’opzione “valida e prudente”. Non solo. Il target è quello di mantenere il ‘cap’ a un valore inferiore di almeno il 5% alla media del mercato e sarà rivisto ogni due mesi. Traduzione: se tutto andrà bene, il cappio potrà essere stretto.

Intanto si dovrà farlo osservare e il pacchetto prevede una serie di sanzioni agli operatori Ue o extra Ue che violeranno il tetto. Poi si valuteranno le contromosse di Mosca. Il Cremlino aveva detto che non avrebbe più consegnato il petrolio ai chi avrebbe aderito al tetto. Eppure a Bruxelles sono scettici: “la produzione non si può fermare e poi riattivare così, su due piedi”, spiega una fonte che ha conoscenza dei meccanismi del settore. E che dire della flotta di (vecchie) petroliere che la Russia starebbe ammassando per organizzarsi le consegne da sola?

La Coalizione del G7 plus ‘vede’ quanto sta facendo Mosca per parare il colpo ma, assicurano a Bruxelles, non si può sostituire un’intera filiera del genere “in una notte” e se anche fosse resta da vedere se i compratori poi si fidino davvero. Morale: circa un milione di barili di petrolio russo vengono movimentati ogni giorno grazie ai servizi legati al G7 e rimpiazzare un volume tanto massiccio per Mosca rischia di essere un’impresa titanica.

(di Mattia Bernardo Bagnoli/ANSA)

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