Coronavirus in Italia: quasi 38mila contagi. Zona gialla non è porto sicuro

Le vie del centro semideserte nel primo giorno del nuovo lockdown decretato dal Governo nell'ultimo Dpcm, Milano, 6 novembre 2020
Le vie del centro semideserte nel primo giorno del nuovo lockdown decretato dal Governo nell'ultimo Dpcm, Milano, 6 novembre 2020. Milano questa mattina si è svegliata in lockdown ma la città appare molto diversa da quella, spettrale e deserta, della prima chiusura della scorsa primavera. In seguito al decreto del governo alcune attività commerciali possono infatti rimanere aperte, come ad esempio le librerie, i negozi di fiori, le profumerie, i negozi che vendono abbigliamento intimo o per bambini, le ferramenta, oltre ovviamente agli alimentari e ai negozi di tecnologia. E soprattutto alle scuole elementari e alle medie per i ragazzi di prima. ANSA/MATTEO CORNER

ROMA. – I contagi da Sars-CoV-2 in Italia continuano a salire: oggi si è sfiorato il nuovo record di 37.809 nuovi casi in 24 ore con 446 vittime, e cresce anche il rapporto positivi/tamponi attestandosi al 16,14%, quasi un punto più di ieri. Un trend epidemiologico che rende evidente come il virus circoli ormai in tutto il Paese, ed essere in zona gialla nella classificazione in tre fasce di rischio prevista dall’ultima ordinanza non significa, avverte il ministro della Salute Roberto Speranza, trovarsi in un porto sicuro.

Complessivamente, sono 862.681 i contagiati e 234.245 i tamponi effettuati, circa 15mila più di ieri. Quasi 500mila gli attualmente positivi al virus e di questi, secondo i dati del bollettino odierno del ministero della Salute, 24.005 sono ricoverati nei reparti ordinari, 749 più di ieri, 2.515 sono in terapia intensiva, con un incremento di 124 nelle ultime 24 ore, e 472.598 sono in quarantena.

Numeri che danno l’idea della gravità della situazione, e non solo in Italia. In Europa, c’è attualmente “un contagiato ogni 37 persone, un dato impressionante, e nel mondo si conta un infetto ogni 164 soggetti”, ha sottolineato Speranza nella sua informativa alla Camera.

Per questo, ha indicato, “non c’è un’altra strada, la via della precauzione è una via obbligata per arginare la pandemia” e “senza consistenti limitazioni dei movimenti e un cambio sostanziale delle nostre abitudini di vita, la convivenza con il virus fino al vaccino è destinata ad un clamoroso fallimento”. Inoltre, è il monito del ministro della Salute, “se non pieghiamo la curva, il personale sanitario non reggerà l’onda d’urto”.

E piegare la curva è l’obiettivo dell’ultimo Dpcm e dell’ordinanza che divide l’Italia in tre zone, gialla, arancione e rossa. Un meccanismo, ha chiarito Speranza, con cui è “finalmente possibile intervenire proporzionalmente alla reale condizione delle Regioni senza stressare con misure uguali territori che si trovano in condizioni differenti”.

Il sistema è però complesso e vari sono i parametri da considerare per la collocazione delle Regioni nelle fasce di rischio. Così, se la Fondazione Gimbe, in un’elaborazione su dati della Protezione Civile, calcola come in Italia ci siano attualmente 827 positivi su 100.000 abitanti, e questo dato in Calabria, zona rossa, sia pari a 230 mentre in Campania, zona gialla, tocchi quota 1.072, lo stesso Speranza spiega che il numero di nuovi casi non è tuttavia l’indicatore più rilevante ai fini della definizione del rischio.

Più determinante è invece l’indice di trasmissibilità Rt che rappresenta il numero medio delle infezioni prodotte da ciascun individuo infetto e che, dunque, fornisce indicazioni sul livello di contagiosità di un territorio e quindi, in qualche modo, dà una “prospettiva di una diffusione del contagio in quel territorio”.

È questa, ha chiarito il ministro, “una differenza molto importante che va considerata nelle decisioni assunte: se un territorio ad esempio ha un numero di nuovi casi relativamente basso ma un Rt alto, siamo dinanzi comunque ad un alert serio e ciò ci indica che in una situazione di pochi contagiati se non interveniamo rapidamente ci sarà una forte espansione del contagio”.

Si tratta, insomma, di un lavoro di raccolta dati imponente, e per questo le valutazioni hanno bisogno di almeno una settimana per essere attendibili, perché i dati possano stabilizzarsi, ha precisato Speranza.

Invita alla prudenza anche Giorgio Palù, docente emerito di Virologia all’Università di Padova: “Bisogna attendere ancora 1-2 settimane per vedere più chiaramente l’andamento della curva epidemica. Attualmente c’è una crescita – afferma all’ANSA – anche se non pare sia più in forma esponenziale. I numeri aumentano ma c’è anche una certa stabilizzazione, se consideriamo – conclude – che nelle scorse settimane il rapporto positivi/tamponi era anche più alto, toccando la quota del 20%”.

(di Manuela Correra/ANSA)

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