Coronavirus in Italia: contagi sopra quota 22mila, oltre 2mila in terapia intensiva

Persone con le mascherine alla fermata della metro Duomo a Milano
Persone con le mascherine alla fermata della metro Duomo a Milano. ANSA / ANDREA FASANI

ROMA. – Scendono a 22.253 i nuovi casi di Covid-19 in Italia, oltre 7.600 in meno in 24 ore, e i dati del ministero della Salute indicano che sono stati meno anche i tamponi: 135.731, oltre 47.000 in meno rispetto al giorno precedente.

E’ un calo che si osserva sempre ogni lunedì nei dati perché la domenica si fanno meno tamponi, ma che ha lasciato inalterato l’indice di contagio: il valore che segnala la quantità dei casi che sfuggono dalle maglie del tracciamento è del 16,3%, lo stesso di domenica e superiore al 14,7% registrato il 31 ottobre, quando i nuovi casi erano stati 31.758 e i tamponi 215.886.

Non sono in linea con la riduzione del numero dei casi né l’aumento dei ricoveri in terapia intensiva, che con 83 unità in più sono ora complessivamente 2.022, né i 233 decessi in più in un giorno rispetto all’incremento di 208 del primo novembre.

Fra le regioni a registrare il maggior numero di casi è la Lombardia, con 5,278 e un rapporto casi positivi-tamponi del 21,9%; seguono Campania (2.861 casi e un rapporto casi positivi-tamponi del 18,3%), Toscana (2.009 e 16,7%) e Piemonte (2.003 e 18,2%).

La curva epidemica continua decisamente a salire e a seguire il suo andamento esponenziale, anche se “si vede un rallentamento rispetto alle settimane precedenti”, osserva il fisico Giorgio Sestili, fondatore e curatore della pagina Facebook “Coronavirus – Dati e analisi scientifiche”.

“Per tre settimane i casi sono raddoppiati, ma adesso si sta osservando un incremento del 65%”. Se paragonassimo la pandemia a un treno in corsa, potremmo dire che “c’è stata una decelerazione”, osserva il fisico. “Il tempo di raddoppio si è alzato, ma non è ancora chiaro di quanto: si vedrà dai dati di questa settimana”, ha aggiunto. “Siamo sempre di fronte a una crescita esponenziale, e pure veloce. Abbiamo semplicemente alzato di poco il piede dall’acceleratore ma siamo ben lontani dal frenare”.

Il punto è capire le cause del rallentamento: un tema che in questi giorni sta facendo discutere chi studia i numeri dell’epidemia. Due le ipotesi. La prima è ottimistica, spiega Sestili, ed è portata a interpretare la decelerazione come un effetto delle misure contenute nell’ultimo Dpcm; alcuni ritengono inoltre che il peggioramento della situazione abbia reso le persone più attente ad adottare le misure di precauzione.

“Se le cose stanno davvero così ce ne renderemo conto alla fine di questa settimana, se vedremo rallentare anche il numero dei deceduti”, ha detto l’esperto riferendosi al fatto che la curva dei decessi segue quella dei positivi a distanza di una settimana”.

Attualmente si registrano due decessi ogni 80 casi positivi con un rapporto che è costante da sette settimane, calcolato nell’1,25%. “Se c’è effettivamente un rallentamento dei casi, devono rallentare anche i deceduti”. Se invece alla fine di questa settimana i decessi dovessero aumentare, sarà il segnale che qualcosa non va. E’ qui che entra in gioco la seconda ipotesi, quella pessimistica.

“E’ sostenuta da chi ritiene che abbiamo ormai raggiunto il livello di saturazione nella capacità di fare i tamponi. E’ vero che se ne fanno sempre di più, ma – osserva Sestili – di fronte a una crescita esponenziale il numero dei casi positivi cresce troppo più velocemente rispetto alla capacità di fare i test”.

A rafforzare questa ipotesi c’è quel 16,3% nel rapporto casi positivi-tamponi registrato per due giorni consecutivi. Seguendo lo stesso andamento delle ultime settimane, con un tempo di raddoppio di sette giorni, si sarebbero dovuti registrare oltre 200.000 nuovi casi.

(di Enrica Battifoglia/ANSA)

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