Spagna, i governi regionali chiedono le dimissioni del premier


Un fallimento la “XXVIII Conferenza dei Presidenti Regionali”. Nessun accordo tra Esecutivo e governi regionali, la cui stragrande maggioranza è presieduta da esponenti del conservatore Partito Popolare


MADRID – Era “l’ordine di scuderia”. E tutti l’hanno rispettato senza riserve. Uno dopo l’altro, i presidenti delle autonomie regionali, quelli del Partito Popolare che sono poi la stragrande maggioranza, nel corso del loro intervento hanno chiesto le dimissioni del presidente del Governo, Pedro Sánchez ed elezioni generali anticipate. Né l’una, né l’altra. Il premier ha fatto intendere che non dimetterà e ha assicurato che la Legislatura seguirà il suo corso e non concluderà anzitempo.

il re Felipe VI e il premier Pedro Sánchez

Dalla “stanza dei bottoni” di Genova 13 le istruzioni ai “barones” conservatori erano chiare:  “far pressione” ed esigere le dimissioni del capo del Governo, anche per dare un senso alla protesta convocata per domenica.

La “XXVIII Conferenza dei Presidenti Regionali”, che si è celebrata nel Palau de Pedralbes, ha solo messo in evidenza il profondo divario tra i governi regionali presieduti dal Partito Popolare e il governo del premier Sánchez. È un “puzzle rotto”, ha commentato il presidente di “Castilla-La Mancha” Emiliano García Page, sempre assai critico con il presidente Sánchez.

La “Cumbre” di Barcellona è stata caratterizzata da un clima politico arroventato e polemico. A nulla è servito l’appello del premier che aveva chiesto un dibattito sereno, aperto e costruttivo. L’Esecutivo ha annunciato che continuerà a lavorare con i governi di Euskadi, Catalogna, Navarra, Asturia e Canaria, che hanno accettato la proposta di triplicare la spesa per la costruzione di case.

– Lavoreremo in maniera bilaterale con ognuno di loro – ha detto la ministra Isabel Rodríguez -. Sono governi regionali responsabili che non hanno dubitato. Con loro cominceremo a lavorare già da lunedì.

Il presidente di Andalusia, Juanma Moreno, ha commentato che sarebbe tornato alla sua terra “con la sensazione di un gran vuoto, di un grande fallimento”. Si è detto convinto che il premier ha convocato il Summit “per distrarre l’attenzione dai problemi di carattere legale e dagli scandali di corruzione che circondano il Governo.

Le controversie sull’uso delle lingue co-ufficiali, la richiesta di elezioni anticipate hanno oscurato il dibattito sulla casa, un argomento di stringente attualità negli ultimi mesi.

Come è solito fare, a mettersi in luce, nel clima pesante che ha caratterizzato la “cumbre”, è stata la presidente della “Comunidad de Madrid”, Isabel Díaz Ayuso. Prima il gelido saluto, al limite della maleducazione, ai ministri e alle ministre che integravano l’insolita affollata delegazione del governo. Poi il battibecco con la ministra della Sanità, Monica García, che ha richiesto la mediazione paziente ma risoluta di un membro del protocollo. E infine, la polemica sulle lingue co-ufficiali, abbandonando la sala della riunione ogni qualvolta un presidente si esprimeva nella lingua della propria regione. È stato quest’ultimo un atteggiamento assai criticato e mal tollerato anche dai colleghi conservatori. Díaz ha giustificato il suo comportamento sostenendo che “si vuole dare visibilità ad una Spagna plurinazionale che non esiste”.

Redazione Madrid

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