Dura reazione del CGIE e dei parlamentari eletti all’estero al decreto legge che cambia le regole per gli italo-discendenti. Nel mirino metodo, contenuti e mancanza di dialogo.
MADRID. – La cittadinanza italiana torna al centro del dibattito politico e istituzionale, ma questa volta non per allargarne l’accesso, bensì per restringerlo. Con il Decreto-Legge n. 36, pubblicato lo scorso 28 marzo, il Governo italiano ha introdotto “disposizioni urgenti in materia di cittadinanza” che hanno provocato un’ondata di reazioni tra i rappresentanti degli italiani all’estero e nel Consiglio Generale degli Italiani all’Estero (CGIE), istituzione che rappresenta, come sottolineato nel comunicato ufficiale, “non solo gli italiani ma anche gli italodiscendenti”.
Il decreto, di fatto, ha sospeso la trascrizione degli atti di nascita da parte degli uffici anagrafici consolari e introdotto nuove limitazioni per il riconoscimento della cittadinanza italiana per discendenza. Tra i punti più contestati, spicca l’obbligo per l’ascendente italiano di essere nato in Italia o di avervi risieduto per almeno due anni continuativi prima della nascita del richiedente. Una condizione che – combinata con la limitazione al riconoscimento entro la seconda generazione – segna una rottura netta con la normativa precedente.
Il CGIE, che aveva già inserito la riforma della cittadinanza tra le priorità dell’agenda 2025, si è trovato a dover reagire con urgenza. Il Comitato di Presidenza si è riunito a Roma già il 31 marzo, avviando interlocuzioni con il sottosegretario agli Esteri Giorgio Silli, il direttore generale per gli Italiani all’Estero Luigi Maria Vignali, le Commissioni Affari Esteri e i gruppi parlamentari. Il messaggio è chiaro: “Siamo pronti a svolgere il nostro ruolo – si legge nella nota ufficiale – ma auspichiamo che nel percorso parlamentare di conversione in legge si apportino correttivi significativi”.
Maria Chiara Prodi, segretaria generale del CGIE, ha parlato senza mezzi termini di “rivoluzione copernicana” che ha colto di sorpresa le comunità italiane all’estero. “Fino a giovedì avevamo la legge di cittadinanza più generosa del mondo, da venerdì una delle più restrittive”, ha dichiarato in conferenza stampa. “Ci sono bambini già nati che non possono essere registrati all’anagrafe. Questo provvedimento ha tranciato un accompagnamento a più generazioni che era in corso in tutto il mondo”.
“Sul decreto – afferma Pietro Mariani, consigliere del CGIE per la Spagna – non sono d’accordo. È stato fatto male. Sarebbe stato necessario un dibattito approfondito. Non c’è stato. Sarebbe stato necessario consultare i rappresentanti delle nostre comunità. Non è stato fatto. Considero un grande errore limitare la trasmissione della cittadinanza a solo due generazioni. Se la legge attuale è forse troppo permissiva, la proposta di legge che sarà discussa in Parlamento, a mio avviso, è assolutamente troppo restrittiva. Si dovrebbero riconoscere almeno tre generazioni. Insisto, è mancato un dibattito pubblico e una visione lungimirante per affrontare la situazione”.
“Non ci riconosciamo in questo decreto – sottolinea Mariano Gazzola, vice segretario del Cgie per l’America Latina -: non siamo stati consultati e ci sono delle modifiche che ci lasciano perplessi”. Anche Gianluca Lodetti, vicesegretario del Cgie di nomina governativa, esprime “perplessità sul decreto cittadinanza” che, così concepito, rappresenta un “rischio per il rapporto con le nostre comunità”. Secondo il Cgie c’è bisogno di una “cittadinanza consapevole – prosegue Lodetti -, baluardo attraverso cui muovere tutta la normativa”.
“La consapevolezza dell’esercizio di cittadinanza si collega con la messa in sicurezza del voto all’estero – afferma ancora Prodi – che ha bisogno di essere razionalizzato. Dobbiamo fare in modo di combattere i brogli elettorali, stiamo ragionando e continuando il nostro processo di analisi andando nel dettaglio del voto per corrispondenza”. Oltre alla cittadinanza e alla messa in sicurezza del voto all’estero, tra i temi prioritari del Cgie c’è quello degli incentivi per gli italiani che rientrano in patria.
Silvana Mangione, vicesegretario del Cgie per i Paesi Anglofoni extraeuropei, spiega che “nel 2026 saranno celebrati i 40 anni della nascita dei Comites” mentre Tommaso Conte, consigliere del Cgie e componente del Comitato di Presidenza per l’Europa e l’Africa del Nord, annuncia la nascita di un premio in ricordo di Michele Schiavone, ex segretario generale del Cgie, scomparso prematuramente lo scorso anno.
Il problema non è solo nel contenuto, ma anche nel metodo. A sottolinearlo è stata la senatrice del Partito Democratico Francesca La Marca durante un’audizione del Consiglio di Presidenza del CGIE presso la 3ª Commissione del Senato. “Non capisco la necessità di affrontare una materia così importante con un decreto-legge e non attraverso un percorso legislativo condiviso – ha detto – e soprattutto senza il coinvolgimento del CGIE e dei parlamentari eletti all’estero”.
La Marca ha evidenziato come le nuove norme penalizzino anche chi ha perso la cittadinanza per naturalizzazione e voglia riacquistarla: il tempo minimo di residenza in Italia è stato raddoppiato, passando da 12 a 24 mesi. Una scelta che, secondo la senatrice, va in direzione opposta rispetto alla sua proposta di legge per il riacquisto automatico della cittadinanza.
Il deputato PD Fabio Porta, ha denunciato quella che definisce “una vera e propria offensiva del governo Meloni contro gli italiani nel mondo”. Intervenendo a Belluno al direttivo dell’UNAIE, Porta ha parlato di “oltraggio alla storia dell’emigrazione italiana” e di “mancanza di rispetto per il Parlamento e per i sistemi di rappresentanza degli italiani all’estero”. Ha ricordato come, negli ultimi mesi, si siano susseguiti provvedimenti “con una virulenza mai vista prima” contro pensionati, disoccupati e italo-discendenti.
Il riferimento è anche alle parole del ministro degli Esteri Antonio Tajani, che in conferenza stampa avrebbe definito “opportunisti” gli aspiranti cittadini italiani tramite discendenza. “Noi non ci siamo mai sottratti a una discussione seria e approfondita – ha ribattuto Porta – ma non si può scavalcare il Parlamento su una materia che riguarda i diritti civili e politici”.
Nel frattempo, anche il mondo dei Com.It.Es. si è attivato. In Francia, i rappresentanti dei Comitati di Parigi, Lione, Nizza, Marsiglia e Chambery hanno espresso la loro preoccupazione durante un incontro con il deputato Simone Billi (Lega). “Con quasi mezzo milione di iscritti AIRE, la Francia è una delle comunità più importanti e va sostenuta”, ha affermato Billi.
Il tema della cittadinanza, insomma, è diventato il simbolo di una frattura tra le istituzioni centrali e quelle di rappresentanza all’estero. Una frattura che rischia di avere conseguenze non solo amministrative, ma anche simboliche. Come ha ricordato Maria Chiara Prodi, “il senso profondo della cittadinanza è fare parte di una comunità. È assurdo promuovere il turismo delle radici e gli incentivi al rientro da un lato, e dall’altro negare la cittadinanza a chi con l’Italia ha legami familiari forti e profondi”.
L’8 aprile il CGIE sarà ascoltato dalla Commissione I del Senato. Sarà un’occasione cruciale per far sentire la voce delle comunità italiane all’estero, oggi più che mai incerte sul proprio futuro. Se l’Italia vuole davvero rafforzare i legami con i suoi figli nel mondo, questo decreto-legge dovrà essere rivisto in profondità. Altrimenti, il rischio è quello di compromettere un patrimonio di relazioni che ha radici lontane e che costituisce una delle ricchezze più autentiche del nostro Paese.
(Redazione Madrid)