“Stracci della Memoria”, il libro della compagnia di teatro “Instabili Vaganti” che sarà presentato il 12 marzo, riassume i risultati di un progetto che parte dalla memoria. Anna Dora Dorno e Nicola Pianzola, fondatori di “Instabili Vaganti”, che saranno presenti alla presentazione del libro, ci parlano del loro lavoro
MADRID – Non il teatro fine a sé stesso, che pure è valido, ma come strumento di studio antropologico. “Stracci della Memoria” è il libro in cui la compagnia “Instabili Vaganti” riassume i risultati di un progetto articolato che parte dalla memoria. È un viaggio nello spazio e nel tempo volto a riscattare dal pericolo di oblio le tradizioni, spicchi di cultura. Ce ne parlano Anna Dora Dorno, regista della compagnia, e Nicola Pianzola, attore e drammaturgo. La compagnia è una loro creatura: la fondarono nel 2004. Da allora ha ricevuto numerosi premi in Italia e riconoscimenti internazionali per la capacità di affrontare con coraggio e professionalità temi scomodi, di scottante attualità con un linguaggio asciutto, diretto e poetico.
– Il 12 marzo, presso il centro culturale del Comites di Madrid, organizzata dall’ “Asociación Emiliano-Romagnoli en España” (As.Er.Es) ci sarà la presentazione del libro “Stracci della Memoria” – commenta Dorno -. In realtà – precisa -, si tratta di una presentazione in chiave performativa. “Stracci della Memoria”, pubblicato nel 2018, riassume vari anni di lavoro: i primi 12 sono stati anni dedicati al nostro progetto di ricerca, alla formazione e creazione nell’ambito delle arti performative. Il libro racconta la genesi del progetto, alcune sue tappe e sessioni di lavoro con artisti internazionali nei vari paesi. Spiega che “indaga la memoria” e che quella programmata a Madrid “non sarà la classica presentazione di un libro”. Infatti, prevede la lettura di alcuni brani e la proiezione di frammenti di video.
– Qual era l’obiettivo del progetto? Cosa cercavate? Cosa vi proponevate?
– Cercavamo le nostre radici culturali e, più in generale, tutto ciò che poteva essere fondante rispetto all’arte performativa, al nostro linguaggio, al nostro metodo di lavoro. L’intenzione era trarre ispirazione dalle nostre tradizioni culturali di danza, di canto… musicali per poi rielaborarle in una chiave contemporanea. Insomma, fare in modo che ne derivasse un nuovo linguaggio.
– Si parla di radici culturali regionali nel senso più ampio?
– Certo – ci dice Dorno -, radici culturali italiane in generale. Quindi, delle diverse regioni d’Italia. Chiaramente, anche dell’Emilia-Romagna. Abbiamo svolto ricerche anche sulle nostre radici derivate dai riti processionali.
La ricerca di “Instabili Vaganti”, spiega Dorno, coinvolge le arti performative “del teatro classico, della danza” in senso rituale. Per esempio, le modalità di canto dal punto di vista regionale come quello delle “mondine”.
– La ricerca – prosegue Dorno – ci ha portato alla scoperta del ritmo, dei passi ritmici rituali, che potevano essere compresi a livello internazionale, che esprimono un sentimento, una percezione particolare della realtà.
– Vi siete dedicati ad alcune regioni in particolare o, al contrario, all’Italia in generale? Quali sono quelle regioni che più vi hanno dato elementi per avanzare nella ricerca?
– Ci siamo basati chiaramente sulle nostre regioni di provenienza – spiega Dorno -. Abitiamo da trent’anni in Emilia-Romagna, ma io sono pugliese e Nicola piemontese.
– Come una pugliese si è incontrata con un piemontese…
– L’Emilia-Romagna… Bologna… – sorride Dorno nel ricordare gli anni trascorsi nelle aule universitarie -. Ci siamo incontrati a Bologna, una città universitaria per eccellenza. È famosa per il corso di laurea in “Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo”, il “Dams”. Dopo l’Università siamo rimasti a Bologna. Oggi viviamo a Valsamoggia. C’è sicuramente Bologna all’origine di questa unione.
– Dell’esperienza universitaria cosa vi è rimasto?
– L’attitudine per la ricerca; ne è esempio questo progetto. Nelle compagnie di teatro non è consuetudine impegnarsi in percorsi di ricerca molto lunghi, specialmente in esplorazioni che non si limitano all’aspetto artistico e teatrale ma spaziano anche nell’ambito antropologico. Questa inclinazione sicuramente c’è stata data dall’università, dai maestri che abbiamo incontrato lungo la nostra carriera universitaria. L’Ateneo di Bologna ha avuto e continua ad avere grandi personalità impegnate nella ricerca teatrale italiana. È sicuramente uno degli elementi fondanti.
– Puglia, Piemonte, Emilia-Romagna… quali altre regioni avete indagato per la vostra ricerca?
Risponde Nicola Pianzola che, fino ad ora, ha ascoltato in silenzio.
La tradizione orale
Dorno e Pianzola sono a Bologna. La nostra è una conversazione a distanza; una video-conferenza che fa scomparire d’incanto il Mediterraneo che ci separa
– Possiamo dire che siamo partiti dall’individuale – commenta Pianzola-. Era una fase in cui si percepiva uno scollamento da quelle che erano le nostre radici. I nostri nonni, depositari della tradizione, andavano scomparendo durante il progetto. E noi sentivamo la necessità di attaccarci a qualcosa; l’urgenza di capire le nostre radici culturali… di chi siamo figli. Lo sentivamo proprio nel personale. Era un’esigenza forte, anche per crearci una base di linguaggio da attualizzare nella pratica contemporanea capace di darci un’identità; un’identità come performer in scena. Che cosa mi contraddistingue come attore, come performer italiano quando sono all’estero e mi confronto con altri attori? E che cosa dell’italianità è presente nel mio modo di operare in scena? C’è una qualche componente che mi identifica con una regione? Questo processo di ricerca l’abbiamo esteso ai partecipanti del progetto.
Spiega che nel corso dei primi tre anni il lavoro è stato esclusivamente loro. Poi, quando la ricerca sulle tre tipologie di memoria: individuale, biologica e collettiva universale, era già sviluppata, hanno aperto ad altri partecipanti.
– E cioè agli attori e ai danzatori che si avvicinavano al nostro lavoro – afferma Pianzola -. Loro portavano la loro competenza regionale. A volte gli chiedevamo di lavorare su un canto tradizionale; altre, su una forma tradizionale rituale del loro paese. Il progetto, seguendo gli stessi criteri, è stato allargato anche ai partecipanti internazionali.
– Quando si parla di tradizione, vengono in mente la cultura, le abitudini che si tramandano di padre in figlio senza regole scritte, ma attraverso la parola. Che difficoltà avete riscontrato nel riscattare le tradizioni tramandate dai bisnonni, dai nonni, dai genitori; nell’evitare che la memoria storica si perda lì dove non esiste il documento scritto e viene meno un anello della catena che mantiene viva la memoria storica?
Dorno spiega che in molti casi vi è stato un salto generazionale. La tradizione veniva trasmessa dal nonno al nipote, forse perché i nonni continuavano a conservare gelosamente la memoria storica e i figli non mostravano interesse.
– Potrei fare l’esempio dei pugliesi… di mia nonna – prosegue Dorno -. Conosceva la danza della Taranta e anche i canti nelle processioni. Mio padre e mia madre, invece, no. La nostra preoccupazione era prendere questi materiali e studiare come potevano essere rielaborati. In Italia, comunque, abbiamo anche delle registrazioni, degli studi antropologici. Con i nostri nonni, il processo di trasmissione orale si è rallentato, fermato. Fortunatamente, anche se non sempre, esistono le trascrizioni e, in alcuni casi, le registrazioni. In altri paesi, come per esempio la Corea, questo processo di trasmissione orale, diretto tra allievo e maestro, tra padre e figlio, è ancora vivo; è ancora in corso.
Le nostre comunità e le tradizioni
Sia per la nostalgia dei genitori alimentata dalle distanze, sia per la paura dei figli di smarrire le proprie radici, le nostre comunità all’estero, specialmente quelle d’oltreoceano, conservano inalterate le tradizioni delle proprie regioni, dei propri paesetti dai quali partirono con una valigia piena di sogni e di paure. È per questo che chiediamo se, nell’ambito di questa ricerca antropologica, ci si è recati all’estero e ci si è premuniti di avere contatti con le nostre comunità. Pianzola confessa che “in questo progetto, ci si è concentrati sul confronto con artisti stranieri”.
– Portavamo questa ricerca sulle nostre tradizioni in altri paesi e l’aprivamo al confronto con le tradizioni di quei paesi.
Dorno ci assicura che sono in programma una serie di workshop, in Brasile, in Argentina e in altri paesi.
– Saranno viaggi mirati alla raccolta di queste memorie, di queste tradizioni – ci dice -. Siamo curiosi di conoscere cosa permane all’estero della cultura italiana, a livello di arti performative tradizionali.
– La fase recente del progetto con la Consulta dell’Emilia-Romagna – precisa Pianzola – coinvolge gli utenti delle associazioni di emiliano-romagnoli all’estero.
L’influenza straniera
L’Italia è stata terra di conquista. È per questo che, dipendendo dalle regioni, si osservano l’influenza spagnola, francese, austriaca, ma anche resti della cultura longobarda, ostrogota, araba e via di seguito. Chiediamo cosa sia rimasto delle loro tradizioni e come queste abbiano influito sul loro lavoro.
– Sarò monotona, ma torno al ritmo – ci dice Dorno -. Le tradizioni performative si basano su quello. È facile ritrovare, per esempio, nel ritmo del sud Italia una connessione con i paesi africani dovuta al mondo arabo. Ci troviamo sulle stesse tipologie di ritmi che delineano una ritualità comune. Secondo noi è sempre quello l’elemento fondante ed è attraverso quello che si riesce a stabilire quella connessione culturale, appunto storica, che c’è stata, come dicevamo, nel nostro paese.
– Da questo viaggio in Spagna, oltre alla presentazione del vostro lavoro, cosa vi attendete?
– È l’inizio di un tour più ampio – spiega Pianzola -, di questa nuova fase di progetto che continuerà in Argentina e in Brasile. È un passaggio obbligato…
– È una porta – aggiunge Dorno.
– Dopo la Spagna – conclude Pianzola – ci recheremo in America Latina. C’è una connessione tra queste culture. La Spagna fa un po’ da tramite nella nostra relazione forte con l’America Latina. Al di là di questo progetto, come compagnia teatrale, abbiamo compiuto e compiamo molte circuitazioni con i nostri spettacoli, progetti soprattutto del “Cono Sur”.
Redazione Madrid