Schiatti (I love Italian Food”): “Gli italiani all’estero sono i migliori alleati nella promozione del ‘made in Italy’”

Alessandro Schiatti, a destra, con Arrigo Cipriani


Il 18 novembre nel Meliá Princesa di Madrid si terrà “The Italian Show” la grande kermesse della buona cucina italiana e dell’eccellenza dei prodotti enogastronomici del Belpaese


MADRID – “Gli italiani all’estero sono i nostri migliori alleati nella promozione del ‘made in Italy’. Ai nostri ristoratori sparsi per il mondo dico sempre: ricordatevi che quando un cliente entra nel vostro ristorante sta iniziando un viaggio in Italia. Quando gli offri un piatto, non gli stai offrendo solo del cibo. In quel piatto tu gli stai mostrando il nostro paese: in quel piatto c’è il produttore, c’è il nostro territorio, c’è la nostra storia, c’è la nostra tradizione… insomma c’è un pezzo d’Italia”. Alessandro Schiatti è il fondatore di “I love Italian Food”, un network internazionale e un’Associazione no profit la cui missione è quella di promuovere e difendere la vera cultura enogastronomica italiana nel mondo. Schiatti è anche l’organizzatore del “The Italian Food”, la kermesse che il 18 novembre, nell’Hotel Meliá Princesa, sarà punto d’incontro dei ristoratori “madrileños”. Conversiamo telefonicamente mentre è in cammino verso casa. Strana coincidenza, è ora di pranzo.

Alessandro Schiatti

Com’è nata l’idea di questo evento?

– È molto semplice – spiega -. L’Italian food nasce come associazione culturale. Ha l’obiettivo di promuovere l’autentica cultura enogastronomica italiana. Cioè sostenere il “Made in Italy, Food and Beverage”. Dopo diversi anni di attività, è venuto naturale pensare di costruire un evento itinerante per  raccontare e far conoscere i nostri prodotti agli chef a ai professionisti della ristorazione. L’idea è quella di mostrare ai ristoratori, ai pizzaioli e ai pasticceri le novità del “Made in Italy”: ispirazioni, suggerimenti, prodotti. Insomma, nuove idee da introdurre al menu. Non vuole essere solo una grande festa del cibo italiano, aspira ad essere di stimolo ai ristoratori che vivono a Madrid affinché impieghino sempre meglio e sempre di più i nostri prodotti nelle loro creazioni.

– La contraffazione dei prodotti tipici italiani è sempre più frequente… “Italian Sounding”, è così come definiscono questo fenomeno inquietante oggi assai diffuso: uso di parole, di immagini, di combinazioni cromatiche, riferimenti geografici, marchi evocativi dell’Italia per promuovere e commercializzare prodotti agroalimentari che in realtà nulla hanno a che vedere con l’Italia. Come danneggia il “Made in Italy” nell’ambito della ristorazione?

 – L’italian sounding, ovviamente, è un problema molto grande – ci dice -. Considera che il suo indotto, a livello mondiale, è di circa 100 miliardi di euro contro i 45 circa del nostro. L’italian sounding, quindi, vale più del doppio di quanto non valga il nostro export. È chiaro che è un problema “enorme”. Dato che non è illegale, l’unico modo per far capire al professionista, al consumatore che deve usare, faccio un esempio, il parmigiano Reggiano, oltre a farglielo assaggiare, è spiegargli che cosa c’è dietro all’elaborazione del prodotto: quali sono i valori nutrizionali, quale la produzione, qual è la storia, come può utilizzarlo, e come può sfruttarlo al meglio in cucina.

Spiega che per combattere l’italian sounding ci sono due strade. La prima, è quella politica: stringere accordi bilaterali che permettano la tutela dei marchi. Per maggiore chiarezza ricorre ad un esempio solo in apparenza banale: il gorgonzola, formaggio DOP originario del milanese.

– Negli Stati Uniti non è tutelato – precisa -, chiunque può fare un formaggio qualunque, chiamarlo gorgonzola e venderlo. Quindi, il primo livello è la tutela. Il secondo, invece, coinvolge l’educazione e la formazione. Sono questi gli aspetti più importanti.

Slow e Fast Food

Slow food e fast food. Prima, al pronunciare la parola “fast” immediatamente venivano in mente le patatine fritte e gli hamburger americani affogati da un’enorme montagna di ketchup. Oggi il concetto di “fast-food” è diventato più sofisticato. Lo è al punto da coinvolgere la cucina italiana: risotti, pasta al pesto o all’amatriciana, pizze e via di seguito… pronte in meno di 5 minuti. Quanto danno fa alla cucina tradizionale italiana? Come arginare il fenomeno?

Alessandro Schiatti con Aldo Zilli

-Purtroppo, non c’è una soluzione – ammette -. La cucina italiana da un lato è la più amata  e, dall’altro, la più imitata e maltrattata al mondo. Insomma, ci sono più di 600.000 ristoranti italiani sparsi per il mondo. Oltre la metà, in realtà non lo sono. Hanno solo l’insegna italiana. Noi abbiamo in Italia più di 5000 prodotti tipici. Per esempio, un abruzzese conosce i prodotti tipici di quel territorio ma non tutti quelli del Nord Italia. Ogni regione ha non uno, ma centinaia di piatti tipici. Quindi il vero problema in realtà è che la cucina italiana non esiste. È la somma di tante cucine locali. È chiaro che la cucina siciliana ha poco a che fare con quella lombarda. Ma entrambe fanno parte della cucina italiana. È tutto molto complicato. Ci sono talmente tanti prodotti tipici, tante ricette che non li si può conoscere tutti. Quello che noi possiamo fare con i  ristoranti, per tutelarci, è dare informazioni. Spiegare che quel parmigiano non è italiano… e spiegare che la carbonara si fa in un determinato modo.

– Anche in Italia però capita di mangiare una carbonara che in realtà non è come insegna la tradizione…

– Con la carbonara si apre un capitolo a parte – ci dice con un tono di voce scanzonato -. Forse ho fatto l’esempio sbagliato… Rispondo in due modi. Il problema, è vero, esiste. Comunque, se non vai nei ristoranti turistici, bene o male, mangi discretamente… La carbonara… è un caso particolare e molto divertente. Se la prepari con la panna ti dicono che sei un “barbaro”. E pure, Gualtiero Marchesi, considerato il padre della cucina moderna italiana, nel 1989,  35 anni fa, nel suo ultimo ricettario, prevedeva panna dentro una porzione di carbonara per quattro persone.

Commenta che la “carbonara in realtà è una ricetta moderna”. La prima venne pubblicata in America, nel 1952, su una rivista di Chicago. Nella prima ricetta, “il pecorino non è contemplato”.

– La seconda – prosegue – fu pubblicata in Italia, credo sul “Cucchiaio d’Argento”. E prevede   piselli e altri ingredienti che sono fuori da ogni grazia di Dio… il pecorino arriva a fine anni 50 e inizio 60. È una ricetta estremamente moderna che si è evoluta e perfezionata nel tempo. Oggi siamo diventati dei puristi, ma Marchesi, a inizio anni ’90, ci metteva la panna. Ci sono, nella cucina italiana, dei falsi miti. La cucina è in evoluzione Ti racconto l’ultima e poi chiudo. Il prosciutto di Parma, come dice il nome, si fa a Parma, in collina. Nella bassa di Parma, a 30 km verso il Po, hanno provato a farlo. Non ci sono riusciti. Perché? Perché in collina c’è l’aria secca e fresca e in pianura, vicino al Po, c’è umidità. Allora si sono inventati il “Culatello”. Per farlo, hanno estratto dal prosciutto il cuore, la parte centrale della coscia. Il “Culatello” è diventato un’eccellenza. Nasce da quel saper fare legato ai microclimi.

La conversazione con Alessandro Schiatti conclude con l’invito ai ristoratori, ai chef ai pasticceri italiani e non ad assistere al “The Italian Show” il 18 novembre presso l’Hotel Meliá Princesa di Madrid. Sarà un’occasione per conoscere l’eccellenza dei prodotti italiani, per incontrarsi, per confrontarsi.

Redazione Madrid

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