Emigrazione, in un docufilm la storia dei bambini clandestini in Svizzera

Il deputato eletto all'estero Toni Ricciardi

MADRID. – Nel secondo dopoguerra più di 2 milioni di italiani emigrarono in Svizzera, dove la legge allora in vigore non prevedeva il ricongiungimento familiare. Di fatto era vietato per i lavoratori emigranti portare i figli con sé: circa 50 mila i bambini coinvolti, che hanno vissuto nascosti in casa, senza poter andare a scuola, uscire e giocare. Tra quei bambini anche un deputato di questa legislatura, Toni Ricciardi, storico dell’emigrazione presso l’Università di Ginevra. 

Un vicenda che termina solo nel 2002, quando il Trattato di Schenghen fa calare il sipario sullo statuto del lavoratore stagionale, e che è raccontata nel docufilm “Non far rumore. La storia dimenticata dei bambini nascosti”  (autrice Alessandra Rossi, regista Mario Maellaro), proiettato alla Camera. 

“Questo docufilm è più di una testimonianza – sottolinea Anna Ascani, vicepresidente della Camera – È un richiamo a essere attenti nella nostra vita di tutti i giorni alle libertà personali, che deve farci interrogare sul valore di aspetti del quotidiano che diamo per scontati, andare a scuola, vivere la socialità con i genitori, gli amici, i propri cari, esprimere noi stessi. Ma è anche un segnale di allerta, che ci invita a riconoscere nella nostra società qualsiasi forma di compressione dei diritti di ognuno di noi, di emarginazione ed esclusione. 

Le forme possono essere le più diverse, alcune anche per via di leggi sbagliate o volutamente discriminatorie. E noi tutti abbiamo invece il dovere della solidarietà e della fraternità che, per citare il Presidente Mattarella, non è una parola ‘di significato esclusivamente religioso’, né ‘un’ingenua illusione di anime sognanti. Non bisogna avere complessi o ritegno nel pronunciare questa parola. E nel viverla’. Non dimentichiamoci mai che siamo parte di una comunità e siamo responsabili di ciò che noi stessi facciamo, ma anche di quello che vediamo accadere sotto i nostri occhi. Siamo responsabili degli altri”. 

“Questa vicenda parla molto al nostro presente, perché è parte della nostra storia e dovrebbe farci riflettere costantemente sulla situazione dell’infanzia, di quella clandestina in particolar modo, su quanto i diritti fondamentali dei bambini, quali quelli di poter avere una socialità, di poter andare a scuola, di poter giocare, di poter frequentare i propri coetanei possano in realtà essere compromessi da una situazione di precarietà e difficoltà” sottolinea Irene Manzi, deputata Pd e capogruppo dem in Commissione Istruzione, a margine della proiezione alla Camera del docufilm. 

“Questa è una storia dimenticata – sottolinea invece Ricciardi, deputato Pd eletto in Europa e tra i protagonisti del docufilm  – perché si fa fatica a ricordare le pagine brutte di un Paese che già durante la fine degli anni cinquanta si iniziava a raccontare come la settima potenza del mondo: si fa fatica a ricordare che noi abbiamo vissuto per molti decenni, in ogni dove, in clandestinità. In più si fa fatica ad accettare il fatto che ci fossero i bambini come clandestini: la clandestinità da lavoro è una cosa che ci appartiene ancora oggi, mentre la clandestinità dell’infanzia negata diventa difficile da digerire”. 

Una delle voci raccolte nel docufilm sottolinea la necessità di scuse sia da parte della Svizzera che dell’Italia: “In parallelo – ricorda il parlamentare e storico dell’emigrazione – la Svizzera aveva un sistema di coercizione per i propri figli, ad esempio alle ragazze madri fino agli anni ottanta venivano tolti i figli: in quel caso il governo federale ha chiesto scusa, farlo per una legge ingiusta e sbagliata non è certo un errore. E’ nata anche un’associazione di ex bambine e bambini clandestini che stanno lavorando proprio per questo obiettivo, per il riconoscimento sociale postumo di un’ingiustizia”.

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