Fosse Ardeatine: massacrati “solo perché italiani”, polemica sulla frase di Meloni

Roma Fosse Ardeatine, 24/03/2023 - Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della cerimonia commemorativa del 79° anniversario dell'eccidio delle Fosse Ardeatine
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della cerimonia commemorativa del 79° anniversario dell'eccidio delle Fosse Ardeatine (foto di Francesco Ammendola - Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)

ROMA. – La ‘battaglia della memoria’, in atto da diversi decenni nel nostro Paese su tanti passaggi della nostra storia, non risparmia il 79esimo anniversario dell’eccidio delle Fosse Ardeatine. “Una strage che ha segnato una delle ferite più profonde e dolorose inferte alla nostra comunità nazionale: 335 italiani innocenti massacrati solo perché italiani” sono state le parole del presidente del Consiglio Giorgia Meloni, affidate stamattina a una nota da Bruxelles mentre nel sacrario sull’Ardeatina il capo dello Stato Sergio Mattarella rendeva omaggio alle vittime, insieme ai presidenti di Camera e Senato.

Ed è quel “solo perché italiani” che non è piaciuto né all’Anpi né alle opposizioni. Gianfranco Pagliarulo, presidente dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, replica così: “La Presidente del Consiglio ha affermato che i 335 martiri delle Fosse Ardeatine sono stati uccisi ‘solo perché italiani’. È opportuno precisare che, certo, erano italiani, ma furono scelti in base a una selezione che colpiva gli antifascisti, i resistenti, gli oppositori politici, gli ebrei. È doveroso aggiungere che la lista di una parte di coloro che, come ha affermato Giorgia Meloni, sono stati ‘barbaramente trucidati dalle truppe di occupazione naziste’, è stata compilata con la complicità del questore Pietro Caruso, del ministro dell’interno della repubblica di Salò Guido Buffarini Guidi, del criminale di guerra Pietro Koch, tutti fascisti”.

La replica della Meloni: “Gli antifascisti non erano italiani?”

“335 martiri in una cava poco lontano dalle case. Non perché italiani ma perché partigiani, politici, ebrei, dissidenti, insieme a tante donne e uomini liberi, uccisi per rappresaglia. La notte più buia della violenza nazifascista” sottolinea su Twitter la deputata del Pd Chiara Braga.

Sulla stessa linea il leader di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni: “No presidente Meloni: 335 persone non furono trucidate dai nazifascisti alle Fosse Ardeatine solo perché erano italiani. Perché erano italiani ed antifascisti, ebrei, partigiani. Un giorno o l’altro riuscirà a scrivere quella parola? Antifascista”.

Sempre da Bruxelles, nel punto stampa al termine del Consiglio europeo, arriva la replica della Meloni: “Le vittime delle Fosse Ardeatine? Li ho definiti italiani, mi sembra storicamente omnicomprensivo: gli antifascisti non erano italiani?”.

Non solo italiani

Ma non tutti erano italiani: sono 9, secondo l’elenco ufficiale pubblicato dal sito del museo del Mausoleo delle Fosse Ardeatine, le vittime non italiane tra le 335 della strage nazista del 24 marzo 1944 a Roma. Ecco chi sono: Boris Landesman, nato a Odessa, commerciante ebreo; Giorgio Leone Blumstein, nato a Leopoli, allora Polonia, oggi Ucraina, banchiere ebreo; Salomone Drucker, nato a Leopoli, commerciante ebreo, membro del Partito socialista polacco; Eric Heinz Tuchman (biografia ignota), Bernard Soike (biografia ignota); Sandor Kerestzi, nato a Budapest, giornalista cattolico; Paul Pesach Wald e Schra Wald, nati a Berlino, rifugiati ebrei; Marian Reicher (biografia ignota).

Il massacro 79 anni fa

Sull’Ardeatina, in una cava di tufo situata tra le catacombe di Santa Domitilla e di San Callisto, c’è uno dei luoghi della memoria più dolorosi della nostra storia, dal 1949 custodito da un sacrario che ne preserva il ricordo dal rischio sempre incombente dell’oblìo, come denunciato qualche mese fa da Liliana Segre a proposito della Shoah.

Il 24 marzo di settantanove anni fa i tedeschi che occupavano Roma, guidati dall’ufficiale delle Ss Herbert Kappler, trasportarono in quelle antiche cave di pozzolana 335 fra detenuti politici (civili e militari), ebrei o semplici detenuti per trucidarli nell’arco di poche ore: ad aiutarli nella ‘scelta’, il questore fascista Pietro Caruso (poi giustiziato dopo la liberazione di Roma da parte degli anglo-americani).

Andarono oltre l’ordine di fucilazione di 10 italiani per ogni tedesco ucciso, impartito dopo l’attentato partigiano in via Rasella che il giorno prima aveva provocato la morte di 33 soldati. Il massacro avvenne a 23 ore dall’attentato e fu reso noto solo a esecuzione avvenuta. Come spiegato autorevolmente dallo storico Alessandro Portelli in “L’ordine è già stato eseguito” (Donzelli), “quell’atto di guerra partigiana è presto diventato anche l’asse di una polemica che ne ha messo in dubbio l’utilità e la legittimità, e ha asserito che la strage avrebbe potuto essere evitata se i partigiani si fossero consegnati ai tedeschi. In realtà, non vi furono né il tempo, né la richiesta per la presentazione; né vale, d’altra parte, il presunto automatismo del rapporto fra azione partigiana e rappresaglia”.

Qualche giorno dopo il massacro, i tedeschi fecero saltare con la dinamite le volte della galleria per ostruire l’accesso alla cava, ma ciò non bastò a nascondere le tracce dell’orrore. Kappler, arrestato dagli inglesi nel 1947, venne condannato all’ergastolo da un tribunale militare italiano: nell’estate del 1977, aiutato dalla moglie, evase dall’ospedale militare del Celio e si rifugiò in Germania, morendo l’anno successivo.

Erich Priebke, che di Kappler era aiutante, venne arrestato in Argentina ed estradato in Italia solo nel 1995: condannato all’ergastolo dalla Corte d’appello nel 1998, scontò la pena ai domiciliari fino alla morte avvenuta nel 2013.

(Redazione/9colonne)