Nordio: “Caso Donzelli? Gli atti non erano segreti”. Scontro con il Pd

Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, durante il suo intervento alla Camera dei deputati.
Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, durante il suo intervento alla Camera dei deputati. (Ufficio stampa ministero di Giustizia)

MADRID. – Le parole pronunciate da Giovanni Donzelli alla Camera lo scorso 31 gennaio non erano prese da documenti secretati. E le condizioni di salute di Alfredo Cospito non sono tali da pensare a una revoca del 41bis, anche perché sarebbe un pericoloso precedente.

Sono i binari sui quali si è svolta l’informativa del ministro della Giustizia Carlo Nordio sul caso del detenuto anarchico, giunto al giorno numero 117 di sciopero della fame, e su quanto avvenuto in aula durante la prima informativa del ministro.

Nordio ha spiegato che le affermazioni di Donzelli, che in aula aveva riportato di una visita di una delegazione di parlamentari Pd a Cospito in carcere e anche alcuni contenuti di presunti scambi di battute tra l’anarchico e altri detenuti mafiosi al 41bis, “sono riferibili a una scheda di sintesi del Nic, il nucleo investigativo centrale, sulle quali non risultano apposizioni formali di segretezza”.

C’era sì la dicitura ‘limitata diffusione’ la quale però, assicura Nordio, “esula dalle classificazioni disciplinate dalla legge ed è di per sé inidonea a catalogare il documento come classificato. È solamente una prassi del Dap”. E quanto ai colloqui riportati, visto che si è ipotizzato che fossero state divulgate delle intercettazioni disposte dalla magistratura: nessuna di queste è mai stata divulgata, né sarebbe stato possibile perché non esistono”.

Il Pd all’attacco

Una ricostruzione fortemente contestata in replica dalla capogruppo Pd, Debora Serracchiani, che ha ricordato come le richieste di accesso agli atti fatte dai parlamentari di opposizione dopo il 31 gennaio abbiano tutte avuto risposta negativa da parte dello stesso ministero della Giustizia: “La legge non si può piegare alle ragioni di parte né si può interpretare secondo la convenienza del momento: lo dico a lei che è stato uomo di legge, che è uomo di legge”.

Nordio ha poi ricostruito i passi che hanno portato alla sua decisione di non revocare il 41bis a Cospito, spiegando che “le ragioni fornite dal legale di Cospito non contengono elementi sufficienti per demolirne l’impianto. Questa valutazione trova pieno riscontro nel parere del 31 gennaio del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, per il quale i pericoli sono anche aumentati alla luce delle azioni messe in atto in maniera sinergica”.

“Sulla mia decisione – ha poi chiarito – non ha influito né poteva influire la requisitoria del procuratore generale di cassazione” che ha chiesto invece la sospensione del regime di carcere duro (la decisione della Cassazione è attesa il 24 febbraio): “vi è un processo sul quale la giustizia è sovrana. Il parere depositato dal procuratore generale l’8 febbraio che il ministero non può conoscere, che non è mai stato richiesto e non è mai stato comunicato”.

Il 41bis rimane

Secondo Nordio, “essendo il 41bis un regime preventivo, volto a ridurre il rischio di contatti con l’esterno e non già l’effettività degli stessi, è evidente che permane la capacità di Cospito di orientare le strategie di lotta della galassia anarchica: i suoi messaggi non solo non vengono ignorati ma si sono trasformati in una onda d’urto. In poche settimane la spirale di eventi ha suscitato un forte allarme sulla sicurezza nazionale”.

Ma soprattutto, “le condizioni di Cospito, dovute esclusivamente a un deterioramento che il detenuto si sta volutamente procurando, non sono tali da incidere in maniera determinante sulla sua rilevante pericolosità sociale, e dunque da determinare una revoca del 41bis. D’altra parte, mi preme sottolineare che se il mantenimento del 41bis fosse determinato da uno stato di salute volutamente procurato, la norma perderebbe immediatamente di efficacia, perché chiunque altro potrebbe fare la stessa cosa. Vi è dunque una insanabile contraddizione logica tra la richiesta di mantenere questa disciplina severa e quella di modularla secondo le decisioni dello stesso detenuto”.