PECHINO. – Il Partito comunista cinese sposa la linea dura contro le proteste anti-Covid del fine settimana. In una riunione tenuta lunedì, la Commissione centrale per gli Affari legali e politici ha chiesto “una repressione” delle “forze ostili”, rimarcando la necessità “di risolvere tempestivamente conflitti e controversie ed aiutare le persone a risolvere le difficoltà pratiche”.
Pechino ha quindi rapidamente avocato a sé lo spinoso dossier, lanciando un inequivocabile monito in vista del prossimo weekend: “Dobbiamo reprimere risolutamente le attività di infiltrazione e di sabotaggio da parte di forze ostili in conformità con la legge, reprimere con determinazione gli atti illegali e criminali che sconvolgono l’ordine sociale e mantenere con efficacia la stabilità sociale complessiva”, ha riferito un resoconto diffuso in serata dall’agenzia Xinhua, riportando toni in linea con le minacce del 2019 contro le proteste pro-democrazia di Hong Kong.
La mobilitazione del Pcc, in nome delle linee guida del XX Congresso e “della salvaguardia della sicurezza nazionale e della stabilità sociale”, è stata ai massimi livelli: la Commissione è il principale organismo di sicurezza cinese e sovrintende alle forze dell’ordine, all’apparato giudiziario e all’intelligence del Dragone. Alla riunione, presieduta da Chen Wenqing (membro del Politburo e segretario della stessa Commissione), hanno partecipato Wang Xiaohong (ministro della Pubblica sicurezza), Zhou Qiang (presidente della Corte suprema del popolo) e Zhang Jun (procuratore generale).
La Cina ha assistito nello scorso fine settimana a proteste su vasta scala che non si vedevano dai tempi della repressione di Piazza Tienanmen del 1989, scatenate dalla rabbia e dalla frustrazione dopo quasi tre anni di applicazione della politica draconiana della ‘tolleranza zero’ al Covid.
Alcuni manifestanti, soprattutto a Shanghai, hanno utilizzato le proteste anche per chiedere una maggiore libertà di espressione, il passo indietro del Pcc e addirittura le dimissioni del presidente Xi Jinping, che a ottobre ha ricevuto un inedito terzo mandato di fila a capo del partito e quindi dello Stato. Sul fronte della sicurezza, la polizia ha cominciato gli interrogatori dei manifestanti arrestati, sollecitando i partecipanti identificati a “fornire chiarimenti”, in base a quanto appreso dall’ANSA.
Londra, invece, ha convocato l’ambasciatore cinese per l’arresto del reporter della Bbc Ed Lawrence, picchiato dagli agenti a Shanghai, dove stando ai video sui social le forze dell’ordine hanno cominciato a ispezionare gli smartphone alla ricerca di app vietate come Twitter e WhatsApp. La stretta ha interessato anche i social media in mandarino con la censura rafforzata del Great Firewall. Sempre a Shanghai, la Urumqi Road, cuore delle proteste, è ora presidiata dalla polizia, così come altri luoghi sensibili a Pechino, tra Liangmaqiao e il cavalcavia di Sitong.
Nel frattempo, la Cina ha difeso ancora la linea della ‘tolleranza zero’, annunciando un nuovo piano per accelerare i vaccini anti-Covid per poter aumentare la protezione degli anziani, a partire dagli ultraottantenni. I massimi funzionari sanitari si sono impegnati “a rettificare le misure di controllo” del Covid-19 per ridurne l’impatto sulla vita delle persone, imputando la frustrazione pubblica ai funzionari locali.
Nel primo briefing dalle proteste, Cheng Youquan, direttore del Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie, ha riferito che i lockdown dovrebbero essere revocati “il più rapidamente possibile”. Mentre “alcuni problemi” non sarebbero dovuti alle misure, ma alla loro applicazione da parte dei funzionari locali che adottano un “approccio unico per tutti”, senza ascoltare le richieste della gente.
In questo contesto di tensione, il primo dicembre è atteso a Pechino il presidente del Consiglio europeo Charles Michel su invito del presidente Xi Jinping: molte le pressioni perché cancelli il suo viaggio, ha riferito Politico, per far sentire la voce critica dell’Europa sul diritto a manifestare.
(di Antonio Fatiguso/ANSA)