“Expo Roma 2030”, una grande sfida e un’opportunità di rilancio

MADRID – “Expo Roma 2030”. Il nostro Ambasciatore, Riccardo Guariglia, ne parla, promuovendo la candidatura italiana, ogni qualvolta ne ha occasione. Non è l’unico. L’intera rete diplomatica del Belpaese è impegnata nella sensibilizzazione di quelle nazioni che, nell’ottobre del 2023, dovranno esprimersi in merito, in occasione dell’Assemblea del “Bureau International des Expositions” di Parigi.

Ora che “Fondazione Expo Roma 2030”, con la nomina a Direttore Generale di Lamberto Mancini che affiancherà il presidente Massimo Scaccabarozzi, è diventata pienamente operativa, la partita per la candidatura di Roma entra nel vivo. La Fondazione, infatti, coadiuverà il Comitato Promotore, guidato dall’ambasciatore Giampiero Massolo, e imprimerà un nuovo impulso alla promozione della candidatura della capitale, presentata ufficialmente lo scorso 7 settembre.

Il maxi-evento, qualora fosse assegnato all’Italia, contribuirà a rivoluzionare non solo la capitale e la sua regione ma anche l’intero tessuto produttivo nazionale. “In primis”, quello dell’Italia centrale e meridionale.

L’interesse delle aziende promotrici dell’iniziativa è più che giustificato. Unindustria, CNA Roma, Coldiretti Roma, Confcommercio Roma, Federlazio, Ance Roma-ACER e Confercenti, che hanno costituito nel 2018 la Fondazione, sperano in un giro d’affari tale da risvegliare le attività produttrici – leggasi industriali, commerciali e ristoratrici – del territorio. Proprio come accadde con “Expo Milano 2015”. Allora la kermesse fu la miccia del rilancio del capoluogo lombardo. Secondo le proiezioni della Luiss, l’evento,  tra il momento dell’assegnazione e i cinque anni seguenti la sua realizzazione, potrebbe rappresentare per Roma e le sue imprese un utile di oltre 45 miliardi di euro. Un moltiplicatore senza alcun dubbio notevole, tenuto conto che l’investimento iniziale previsto non dovrebbe superare i due miliardi di euro. Di quei 45 miliardi, almeno 24 dovrebbero andare alla ristorazione, all’hospitality e all’area trasporti. Altri 11 miliardi scaturirebbero dall’incremento del valore del patrimonio immobiliare.

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Le aziende, dalla “Expo”, riceverebbero almeno tre benefici: quello relativo alla ricettività, sono attesi circa 30 milioni di visitatori; quella inerente alla portata internazionale dell’evento, una grande vetrina per le aziende della regione; e, in ultimo, quello rapportato all’ammodernamento, rimodellamento e costruzione delle infrastrutture di supporto per la kermesse.

“Expo 2030” potrebbe alimentare un processo di rigenerazione urbana che coinvolgerebbe sia quartieri tradizionalmente borghesi sia le borgate. Ad esempio, nella proposta di candidatura di Roma vi è il piano per la realizzazione di un grande parco solare. Si tratta di una superfice fotovoltaica di 150mila metri quadrati. Questa, con capacità di 36 megawatt, consentirebbe a Tor Vergata e al quadrante sud-est della capitale di trasformarsi in un’“area carbon free”.

La  candidatura romana alla “Expo 2030” è, per l’Italia, una vera scommessa. Si spera che , come accadde con la “Expo Genova 1992”, in occasione della commemorazione dei 500 anni dalla scoperta dell’America, e con la Expo Milano 2015, ci sia un effetto dominò di rilancio del territorio; rilancio che permetta riscattare la “città eterna” dal degrado e l’abbandono di cui è stata vittima negli ultimi anni.

“Expo Milano 2015”, come scrisse Sara Monaci su “Il Sole-24 Ore” (6 maggio 2016), fu un acceleratore di 15 anni per il business di Milano e del Paese. I risultati di una ricerca affidata dalla Camera di Commercio di Milano e dalla “Expo 2015” alla Sda Bocconi rivela che oltre ad aver rappresentato un gettito fiscale unicamente per il periodo dell’evento pari a 500 milioni di euro, come segnalato dall’allora ministro delle Finanze Pier Carlo Padoan, promosse 31,6 miliardi di produzione aggiuntiva e oltre 240mila occupati. Solo per la Lombardia l’indotto si stimò in circa 18,6  miliardi.

La prima volta che Roma fu candidata a una “Expo” fu nel 1942. Per l’occasione fu progettata la sede dell’ “Esposizione Universale Roma· (Eur) che, iniziata a costruire nel 1935, doveva inaugurarsi in occasione dell’ “Expo”. Ma l’evento tanto voluto dal regime mussoliniano per mostrare la grandezza del Paese non si realizzò mai. Responsabile la II Guerra Mondiale che portò distruzione e morte.

L’ “Expo 2030” è considerata, per chi l’ha fortemente sponsorizzata, un’occasione unica per trasformare Roma promuovendo modelli d’insediamento urbani inediti, ridisegnando l’intera rete e i sistemi di trasporto e dando un forte impulso alla produzione culturale. D’altronde la proposta è stata concepita ponendo enfasi in cinque aree: Evoluzione e Rigenerazione, Diversità e Inclusione, Sostenibilità e Circolarità, “Digital First and Zend (Zero Emission Digital), Decentralizzazione e Connessione. È quindi la “sostenibilità” il “fil rouge” della proposta italiana.

Oggi l’obiettivo principale, in particolare quello della rete diplomatica, è far conoscere e convincere i 170 Paesi presenti nel Bei a scegliere Roma anziché la sudcoreana Busan o la saudita Riad (l’ucraina Odessa e la russa Mosca sono anch’esse candidate ma le loro aspirazioni, almeno per il momento,  non pare che possano essere prese in considerazione).  Non coinvolgere le nostre comunità e le associazioni e istituzioni che la rappresentano nella grande sfida che significa “Expo Roma 2030” sarebbe commettere un crasso errore. Integrate nel tessuto sociale del paese in cui risiedono e che hanno trasformato in una seconda Madrepatria possono trasformarsi in cassa di risonanza delle aspirazioni della capitale e dell’Italia.

Redazione Madrid

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