I nuovi schiavi, cinesi al lavoro 15 ore sette giorni su sette

Ufficiali della Guardia di Finanza effettuano dei controlli al computer.
Ufficiali della Guardia di Finanza effettuano dei controlli al computer. (ANSA)

PAVIA. – Trattati come schiavi. Costretti a lavorare 7 giorni su 7 con turni anche di 15 ore al giorno. Pagati non per le ore lavorate, ma per i pezzi prodotti senza alcun rispetto dei contratti nazionali. Rinchiusi di fatto negli stessi opifici della zona di Vigevano (Pavia), dove vivevano in condizioni igienico-sanitarie precarie, senza riscaldamento e letti adeguati.

E’ lo scenario allucinante portato alla luce dall’indagine coordinata dalla Procura di Pavia che ha portato oggi la Guardia di Finanza ad arrestare tre amministratori di fatto di altrettanti ditte individuali operanti nel settore calzaturiero in Lomellina. Le accuse nei loro confronti sono quelle di intermediazione illecita e sfruttamento di manodopera, ovvero caporalato.

“Tolleranza zero verso chi pensa che in Italia gli esseri umani possano essere trattati come schiavi – ha scritto su Twitter la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni che ha ringraziato la Guardia di Finanza – tolleranza zero per chi non rispetta le regole e fa concorrenza sleale”.

L’operazione è scattata in tre opifici del vigevanese dove si producono calzature: i “caporali”, tutti di origine cinese, costringevano i dipendenti, cinesi anche loro, a lavorare giorno e notte con turni dalle 10 alle 15 ore, senza pause e senza alcun giorno di riposo. Da alcune riprese effettuate dagli investigatori, è emerso che i lavoratori erano costretti a lavorare e vivere all’interno degli stessi spazi.

I dipendenti ricevevano compensi irrisori, e comunque molto al di sotto della soglia fissata dai contratti collettivi nazionali di categoria. Ed inoltre non venivano pagati in base alle ore lavorative prestate, ma in funzione dei pezzi prodotti che venivano annotati in appositi registri.

“Tale modus operandi – dice la Procura di Pavia – da un lato spronava il dipendente a produrre quanto più possibile senza badare alla qualità dei prodotti finiti, dall’altro consentiva ai caporali di sfruttare i lavoratori sino alla sfinimento. Inoltre, la scarsa conoscenza della lingua italiana ed il perdurante stato di bisogno dei dipendenti permetteva ai caporali di contare sulla loro omertà motivata dalle ulteriori scarse alternative di lavoro”.

Le tre ditte individuali agivano attraverso prestanome al fine di nascondere la presenza e la direzione aziendale degli amministratori arrestati oggi dalle Fiamme Gialle pavesi. E per rendere meno agevoli i controlli, le ditte cambiavano spesso denominazione, ragione sociale, partita Iva e titolare, inserendo spesso soggetti irreperibili.

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