Addio a Brighenti, fu eroe a Wembley e simbolo azzurro

Sergio Brighenti (a destra) in panchina con l'allora ct della nazionale Azeglio Vicini.
Sergio Brighenti (a destra) in panchina con l'allora ct della nazionale Azeglio Vicini.

ROMA. – Un malore s’è portato via a 90 anni una delle icone del calcio italiano: Sergio Brighenti. Ex attaccante di Modena, Inter, Triestina, Padova, Sampdoria e Torino, da allenatore fu al fianco di Azeglio Vicini nelle avventure in azzurro all’Europeo del 1988 in Germania Ovest e ai Mondiali di ‘Italia ’90’, visti sfumare ai rigori nella semifinale contro l’Argentina di Maradona e Sergio Goicochea.

Ma ancor prima, in azzurro aveva scritto il suo nome nella storia segnando il primo gol dell’Italia a Wembley, in casa dei ‘maestri’ inglesi, nel ’59. Di gol ne segnò tanti, da attaccante delle prime volte: la Samp ricorda che fu il primo capocannoniere della serie A in maglia blucerchiata (27 reti nel ’61) e l’autore della prima rete doriana nelle coppe europee.

Nato a Modena, mosse i primi passi proprio con la maglia dei canarini, in Serie B, prima di spiccare il volo nel calcio che conta. Si trasferì all’Inter guidata dal campione del mondo del 1938, Alfredo Foni, ma non ebbe molta fortuna personale, chiuso com’era da un gruppo di attaccanti forti e insostituibili, come ‘Veleno’ Benito Lorenzi, il franco-ungherese István Nyers, lo svedese Lennart Skoglund e Gino Armano.

Arrivarono due scudetti in nerazzurro, nel ’52 e nel ’53, ma Brighenti vide che non era aria e chiese di andar via per poter giocare da titolare; finì così alla Triestina. La consacrazione arrivò, però, nel Padova plasmato da Nereo Rocco sul modello del catenaccio e votato al contropiede. Il dispositivo tattico del ‘paròn’ finì per esaltare le doti di Brighenti, che oggi passerebbe per ‘falso nueve’, mentre negli anni ’50 era semplicemente un centravanti di manovra e, all’occorrenza, tattico.

Nella stagione 1960/61 entrò per sempre nella storia della Sampdoria, conquistando il titolo di capocannoniere (unico blucerchiato a esserci riuscito con quei numeri) a quota 27 reti. Nella stessa stagione si tolse la soddisfazione di segnare i quattro gol con i quali la formazione blucerchiata – era il 2 aprile 1961 – vinse in casa dell’Inter del ‘mago’ Helenio Herrera per 4-2.

Appese la scarpe al chiodo con la maglia del Toro, poi cominciò ad allenare, chiudendo con un bottino di 155 reti, fra la Serie A e la B. Il suo nome rievoca pessimi ricordi agli storici del calcio inglese: dei due gol segnati in azzurro, entrambi li rifilò alla formazione dei Tre Leoni. Fu il primo nazionale italiano a mettere un pallone nella rete degli inglesi a Wembley, il 6 maggio del ’59 in un match poi finito 2-2.

Venne chiamato da Vicini al proprio fianco nell’opera di rifondazione della Nazionale, sulle ceneri del fallimento ai Mondiali in Messico del 1986. Al fianco dell’amico Azeglio collezionò un terzo posto all’Europeo (1988) e uno ai Mondiali (1990).

Lasciò la panchina per diventare un opinionista tv e commentare per anni le vicende del campionato di Serie B. Il funerale di Brighenti si svolgerà giovedì prossimo alle 10.30 nella Chiesa Santi Apostoli Piero e Paolo ad Arluno, in provincia di Milano. Ma già da oggi, dal Modena alla Samp, il calcio italiano lo saluta con affetto e nostalgia.