Nello stesso giorno scopre di essere incinta e avere un tumore. Muore a 36 anni

La preparazione della sala operatoria del pronto soccorso dell'ospedale Niguarda, Milano
La preparazione della sala operatoria del pronto soccorso dell'ospedale Niguarda, Milano, 28 maggio 2020. ANSA/Filippo Venezia

RAVENNA. – Scopre lo stesso giorno, quello del suo compleanno, di avere un tumore e di essere incinta. Elisabetta Socci, ravennate, riesce a dare alla luce la sua bimba ma, nonostante l’intervento chirurgico e le terapie seguite, muore il 31 luglio scorso, pochi mesi dopo il parto. L’ha uccisa quel cancro che le era stato diagnosticato appena un anno e cinque mesi prima.

Oggi il marito, Matteo Grotti, 35 anni, originario del Cesenate, vuole essere da esempio per chi si trova a vivere situazioni analoghe, con un messaggio di forza e speranza. I due si sono conosciuti nel 2015 a un matrimonio. Lei architetto a Cervia, lui magazziniere a Cesena. Scatta l’amore, nel 2018 si sposano e vanno a vivere a San Zaccaria, nel Ravennate. Per due anni provano ad avere un bambino.

Nel 2021, il giorno del suo compleanno, la donna scopre di avere un nodulo al seno: un tumore maligno. “Ci è caduto il mondo addosso”, racconta Matteo a RavennaToday. In ospedale le dicono di fare anche un test di gravidanza per accertarsi che non fosse incinta. Lo stesso giorno fa il test che risulta positivo. “Lei mi ha guardato ed è scoppiata a piangere. Ci ho messo un po’ a capire, avevo appena saputo del cancro”, prosegue.

Elisabetta viene subito operata. “Era convinta che la gravidanza fosse la luce in questo periodo di tenebre e, nonostante tutto, ha scelto di portarla a termine e di curarsi”, spiega il marito. Poco dopo compare un altro nodulo, e così, al terzo mese di gravidanza comincia la chemioterapia. “Lei l’ha fatta con una forza di volontà pazzesca, non è mai stata male”, afferma il marito.

A otto mesi Elisabetta ha partorito e a nove le hanno praticano la mastectomia totale, ma il tumore si era spostato al fegato. “Abbiamo sempre vissuto nella speranza, perché si può sperare e continuare a vivere anche se poi il finale è brutto – sostiene Matteo – E lei ha fatto così, sempre godendosi il presente”.

Le terapie non hanno però potuto salvare la donna. Ora il padre cresce da solo la piccola. “A 35 anni non bisognerebbe mai vedere la morte della propria moglie, crescere una figlia da soli”. “Siamo sempre convinti di averlo in mano, di poterlo gestire a nostro piacimento, ma nessuno sa davvero quanto tempo gli rimane, e io l’ho capito a mie spese”, è il suo messaggio.

Matteo vuole essere d’aiuto per gli altri. “Si può vivere felici anche nella malattia, provando ogni tanto a dimenticarsela, a stare bene e a fare cose normali”, dice.