Mafia: arrestato candidato centrodestra in Sicilia

Direzione investigativa antimafia
Direzione investigativa antimafia (DIA).

PALERMO. – A due giorni dalle elezioni lo spettro del condizionamento mafioso del voto torna ad aleggiare in Sicilia con l’arresto di Salvatore Ferrigno, candidato all’Ars dei Popolari e Autonomisti dell’ex governatore Raffaele Lombardo, la lista che sostiene il candidato del centrodestra alla Presidenza della Regione Renato Schifani.

Il politico, 62 anni, carinese e un passato in Forza Italia, è accusato di scambio elettorale politico-mafioso. Con lui sono finiti in carcere il boss Giuseppe Lo Duca, del gruppo di fuoco del clan di Carini, e Piera Loiacono, ex assessore comunale, ritenuta il trait d’union tra la cosca e il candidato.

Una vicenda, che ha suscitato poche reazioni nei partiti, dagli ingredienti già visti: un patto siglato tra la politica e la mafia, soldi e favori in cambio di voti. Di “ineluttabile e urgente intervento di natura cautelare per scongiurare il pericolo che il diritto-dovere del voto sia definitivamente trasfigurato in merce di scambio assoggettata al condizionamento e all’intimidazione del potere mafioso” parla il gip che ha disposto l’arresto di Ferrigno. Un rischio grave e il sospetto del mercimonio della funzione con soldi e promesse che garantiscono qualche centinaio di voto mafioso.

L’inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto di Palermo Paolo Guido, nasce da un’indagine sulla mafia di Carini, cosca a cui Lo Duca, “figlio d’arte” già condannato in via definitiva (il padre era un boss della zona) appartiene. E’ intercettando Lo Duca che si arriva alla Loiacono e a Ferrigno. “Piera io posso corrispondere al momento di tre al massimo quattro paesi e basta e sono: Carini, Torretta, Cinisi e Terrasini”: diceva il mafioso alla Loiacono impegnandosi a procurare voti al candidato. La donna, anche lei finita in cella viene descritta dal gip come una persona “intrisa di una sconcertante cultura mafiosa”.

Nel contrattare la somma da riscuotere in ogni paese per il sostengo elettorale il boss ci teneva a mettere le cose in chiaro: “gli dici (a Ferrigno ndr) che avendo una persona che già ci siamo capiti pure chi è, avendo questa amicizia, non meno di cinque (5mila euro ndr) a paese. A ogni paese gli devo lasciare la metà”. “La spartizione della somma con ciascun rappresentante di Cosa nostra di ogni paese – scrive il gip – era necessaria al fine di garantire un introito economico all’articolazione mafiosa che si sarebbe dovuta mobilitare e di assicurare il dovuto riconoscimento ai mafiosi di quei comuni”.

Ma non di soli soldi si trattava. Dall’indagine, che racconta di una vera e propria “trattativa” tra il politico e il mafioso, per il tramite della donna, emerge che sul piatto le parti avevano messo anche i fondi europei. “Appena ci vediamo ti spiego alcuni progetti che ci possono cambiare completamente perché si deve parlare di soldi grossi, di progetti”, dice, non sapendo di essere intercettato, Ferrigno. Il candidato, sempre in una intercettazione, spiega: “io non cerco di comprare i voti perché i miei collaboratori li metto in società con me”.

“Il senso di tale affermazione – scrive il gip – appare fin troppo chiaro. Ferrigno riteneva di poter sostituire l’oggetto della propria prestazione convertendola da una mera dazione di denaro per la raccolta dei voti ad una vera e propria condivisione programmatica di finalità e azioni politiche”. Le telecamere dei carabinieri hanno filmato Ferrigno consegnare i soldi alla Loiacono. Mille euro con la promessa di ulteriori consegne di soldi. “E Peppe si accontenta?” chiede alla Loiacono, riferendosi a Lo Duca, l’uomo che è con lei in auto. “E se non si accontenta non posso fare più niente”, risponde l’indagata che non sa che in macchina ci sono le cimici degli investigatori.

 

Lascia un commento