Permessi umanitari, basta l’intenzione seria di integrarsi

L'abbraccio tra la cooperante e il migrante in lacrime.
L'abbraccio tra la cooperante e il migrante in lacrime. (Ansalatina)

ROMA. – Via libera dalla Cassazione alla concessione dei permessi di soggiorno per motivi umanitari in favore dei migranti che hanno la “seria intenzione” di integrarsi nel nostro Paese, attestata dallo studio dell’italiano e dallo svolgimento di lavoro anche non stabile.

Così la Suprema Corte ha accolto il ricorso di un uomo proveniente dall’Africa al quale la Corte di Appello di Cagliari – nel gennaio 2021 – aveva negato il permesso ritenendo che la frequenza di corsi per imparare la nostra lingua e il contratto di lavoro a tempo determinato, e non in via definitiva, non fossero elementi che attestavano il radicamento di Patrick W. in Italia.

Ad avviso degli ‘ermellini’, inoltre, occorre tenere presente che anche per gli stessi cittadini italiani è difficile trovare un lavoro con contratto a tempo determinato e dunque più che guardare a risultati concretamente raggiunti, quando si tratta di decidere se consentire a un migrante di rimanere nel nostro Paese, occorre guardare al percorso effettivamente intrapreso dalla persona che richiede il permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Per la Suprema Corte “la seria intenzione di integrazione sociale, desumibile da una pluralità di attività, può rilevare ai fini della protezione umanitaria, quantunque essa – sottolinea il verdetto 26089 della Prima sezione civile, presieduta da Maria Acierno che ha anche scritto la sentenza – non si sia ancora concretizzata in una attività lavorativa a tempo indeterminato, specie se si consideri che tale obiettivo presenta difficoltà non irrilevanti anche per i cittadini del Paese ospitante”.

Patrick W., il migrante proveniente dalla Sierra Leone che ha fatto ricorso in Cassazione difeso dall’avvocato Stefano Mannironi del foro di Nuoro ha fatto valere, davanti ai supremi giudici, a riprova del suo cammino di ‘integrazione’ in Italia, la circostanza di svolgere un lavoro anche se a tempo determinato “con prosecuzione ininterrotta dal 2018” come risulta dall’allegato contratto e il fatto di aver frequentato corsi per apprendere la nostra lingua come certificato dalla “produzione di certificati scolastici attestanti una buona padronanza della lingua italiana”.

Adesso la Corte di Appello di Cagliari – in diversa composizione – deve porre rimedio al suo rifiuto di concedere il permesso umanitario e attenersi ai principi dettati dai supremi giudici in favore di Patrick e dei casi simili al suo. Secondo la Cassazione è opportuno che i giudici di merito tengano presente che la giurisprudenza di legittimità “ha sottolineato sia il peso specifico dell’integrazione lavorativa e delle attività formative”, ‘ingredienti’ che danno corpo alla seria volontà di mettere radici in Italia.

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