Un bimbo in fondo al mare ancora abbracciato alla mamma

Il corpo di un migrante affogato in balia delle onde.
Il corpo di un migrante affogato in balia delle onde. ANSA/ Immagine di Sos Mediterranee /Flavio Gasperini

BEIRUT.  – Nei fondali del “cimitero più grande d’Europa”, così come papa Francesco ha descritto il Mediterraneo colmo di corpi senza vita di migranti morti annegati, c’è anche quel che rimane di un bimbo ancora abbracciato a ciò che resta delle braccia della madre.

La testimonianza straziante arriva dalle coste del Libano, Paese al collasso economico e da dove da anni fuggono verso le coste italiane centinaia di libanesi, siriani, palestinesi: “C’era una donna giù in fondo al mare, il cui corpo è rimasto incastrato a metà fuori da un oblò, mentre teneva in braccio suo figlio”, ha raccontato un membro della squadra che nel nord del Libano ha preso parte al tentativo di recupero degli oltre 30 corpi annegati quattro mesi fa.

Il 24 aprile scorso l’imbarcazione che trasportava più di 85 migranti era affondata in circostanze ancora da chiarire dopo un contatto con una motovedetta della marina militare libanese. Una quarantina di persone, per lo più donne e bambini, erano fatalmente rimaste intrappolate nell’imbarcazione.

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Alcuni superstiti avevano accusato i militari libanesi di aver appositamente speronato la nave, ma la marina ha smentito la circostanza. Gli avvocati dei familiari delle vittime chiedono che venga aperta un'inchiesta internazionale, visto che l'inchiesta libanese è di fatto archiviata. Si sperava che il recupero dell'imbarcazione potesse fornire indicazioni agli inquirenti.

Il Libano è da tre anni alle prese con la peggiore crisi finanziaria della sua storia. Secondo l'Onu, più dell'80% della popolazione vive ormai sotto la soglia di povertà, e dal 2020 il Libano registra un aumento esponenziale del numero di libanesi, siriani e palestinesi residenti nel Paese che cercano una via di fuga verso l'Europa.

Le operazioni di recupero dei corpi annegati a fine aprile erano cominciate nei giorni scorsi sotto il formale coordinamento della marina militare libanese. Il tentativo di recupero è stato però organizzato con mesi di ritardo da un'iniziativa privata, con una raccolta fondi gestita in parte da una rete di familiari delle vittime, originarie della zona di Tripoli ma presenti per lo più in Australia.

Dopo alcuni tentativi, durante i quali i resti di alcune persone sono stati portati in superficie disfacendosi sotto gli occhi dei soccorritori, la marina libanese ieri ha informato l'organizzazione non governativa australiana dell'impossibilità di continuare per non meglio precisati "rischi di sicurezza".

La missione si è conclusa e il sommergibile col suo equipaggio tecnico ha già lasciato il Libano. Lasciando i familiari delle vittime senza risposte e senza spoglie da seppellire. I circa 30 corpi, tra cui quello della giovane donna e di suo figlio, sono destinati a rimanere in fondo al mare.

(di Lorenzo Trombetta/ANSA).

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