“Trump aveva 184 atti segreti in un luogo insicuro”

Agenti della polizia all'entrata della residenza di Mar-a-lago, dell'expresidente Trump, in Florida. Archivio.(ANSA)

WASHINGTON.  – “Il governo sta conducendo un’indagine penale riguardante la rimozione e la conservazione improprie di informazioni classificate in spazi non autorizzati, come pure l’illegale occultamento o rimozione di documenti del governo”: il Dipartimento di Giustizia ha motivato così la richiesta che ha portato alla clamorosa perquisizione (con sequestro di documenti segreti) nella residenza di Donald Trump a Mar-a-Lago, la prima per un presidente americano.

É quanto emerge dall’affidavit, la dichiarazione giurata che è stato costretto a diffondere oggi, ma con numerosi omissis per proteggere le indagini e soprattutto “un significativo numero di testimoni civili la cui sicurezza potrebbe essere messa a rischio se le loro identità fossero rivelate”.

Così aveva deciso una settimana fa, con una rara soluzione di compromesso, il giudice della Florida Bruce Reinhart, cui lo stesso Trump e i principali media americani avevano chiesto di divulgare il documento per l’enorme interesse pubblico attorno ad una vicenda senza precedenti.

La perquisizione, rivela l’affidavit, è stata indotta dalla scoperta che delle 15 casse restituite in gennaio da Trump agli archivi nazionali dopo mesi di pressione, 14 contenevano 184 documenti classificati, di cui 25 top secret sulla difesa nazionale, 92 segreti e 67 confidenziali. Alcuni sembrano avere note scritte a mano dall’ex presidente. Tutte carte mescolate a giornali e riviste. A preoccupare anche il fatto che erano custodite in un luogo non autorizzato e non sicuro, come suggerisce il via vai di gente e lo spostamento delle casse registrati dalle telecamere di sorveglianza.

Il timore era quello di poter compromettere “le fonti umane clandestine” usate dall’intelligence per raccogliere informazioni. Inoltre il Dipartimento di Giustizia e l’Fbi avevano “un probabile motivo di credere che a Mar-a-Lago sarebbero state trovate prove di ostruzione della giustizia”. Queste preoccupazioni, e il continuo rifiuto del tycoon di restituire documenti che per legge dovevano restare in possesso degli archivi nazionali, hanno spinto gli inquirenti a muoversi rapidamente.

L’affidavit non rivela però né la natura del materiale né perché Trump scelse proprio quei documenti. Né tantomeno l’uso che voleva farne, anche se alcuni media evocano eventuali ricatti e intimidazioni sullo sfondo della sua possibile ricandidatura alla Casa Bianca. “Un totale stratagemma di relazioni pubbliche da parte del Dipartimento di Giustizia e dell’Fbi”, ha commentato sulla sua piattaforma Truth Donald Trump, che secondo la Cnn è sempre più preoccupato di un’incriminazione. Tanto più ora che si incrina la sua línea difensiva, basata sull’affermazione (finora non verificata) che aveva declassificato quei documenti.

Ma l’affidavit chiarisce che lo status della classificazione non conta ai fini dell’Espionage act, che protegge anche le fonti e i metodi di lavoro dell’intelligence.

Joe Biden, dal canto suo, cerca di fare lo spettatore alla finestra: “Lasceremo al Dipartimento di Giustizia determinarlo”, ha detto rispondendo alla domanda se la sicurezza nazionale Usa possa essere stata compromessa nella residenza di Mar-a-Lago.

(di Claudio Salvalaggio/ANSA).

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