Inflazione e recessione, i nodi che agitano Jackson Hole

Il presidente della Fed Jerome Power

NEW YORK.  – La galoppata dell’inflazione e il timore di una recessione dominano l’agenda dei lavori di Jackson Hole, la popolare località sulle montagne del Wyoming ogni anno teatro della riunione dei banchieri centrali organizzata dalla Fed.
div id=’prj_300x250_intext’ >

Un appuntamento che vede Jerome Powell protagonista. Il presidente della banca centrale americana è atteso salire sul palco venerdì e delineare le sue prossime mosse. É probabile che il presidente della Fed ribadisca il suo impegno ad alzare i tassi di interesse per frenare la domanda e raffreddare così l’inflazione.

“Powell probabilmente dirà che la Fed alzerà i tassi fino al livello necessario e per tutto il tempo necessario”, affermano alcuni analisti, consapevoli della difficile posizione del presidente della Fed in un contesto mondiale complicato dalla guerra in Ucraina e dal Covid.

Secondo gli osservatori, Powell opterà comunque per una maggiore cautela rispetto allo scorso anno quando, dal Wyoming, si lasciò andaré a una dichiarazione rivelatasi poi profondamente sbagliata: ovvero che la corsa dei prezzi era solo ed esclusivamente un fenomeno transitorio. Parole maledette, visto che la volata dell’inflazione ora sta costringendo la Fed a portare avanti una campagna aggressiva di rialzi dei tassi che probabilmente continuerà per tutto l’anno.

Con il suo intervento Powell cercherà di spingere Wall Street a rivedere le sue attese per il 2023, rendendole più allineate con quelle della Fed. I mercati finanziari ritengono infatti che la banca centrale sarà costretta a tagliare i tassi di interesse il prossimo anno a fronte di una recessione. La Fed da giorni ripete che è prematuro parlare di una riduzione del costo del denaro, ribadendo la sua determinazione ad alzare i tassi fino a quando l’inflazione non sarà sotto controllo.

La banca centrale americana è convinta di riuscire a raffreddare la corsa dei prezzi senza però far scivolare l’economia in recessione. Un’idea che non trova molto sostegno al di fuori dell’istituto centrale, considerato anche che il pil americano si è contratto per due trimestri consecutivo facendo scivolare l’Azienda America in recessione tecnica.

La mancanza di consensi è in parte legata a un contesto internazionale particolarmente complesso. In Europa fra la guerra e la crisi dell’energia i rischi di recessione sono in aumento e stanno già penalizzando l’euro, sceso sotto la parità ai minimi dal 2002. La moneta unica paga la divergenza di atteggiamento fra una Bce più colomba e una Fed falco, con la quale il dollaro si rafforza contro le principali valute.

Un rafforzamento che rallenta la crescita degli scambi commerciali fra i principali paesi industrializzati del G20. I dati dell’Ocse mostrano infatti che l’export e l’import sono cresciuti nel secondo trimestre rispettivamente del 2,1 e del 2,6%, in decisa frenata rispetto al 4,8% e al 6,2% registrato a gennaio-marzo 2022.

“Mentre i prezzi delle materie prime esacerbati dalla guerra in Ucraina continuano a spingere la crescita dei commerci in termini nominali – afferma l’organizzazione che raggruppa i principali Paesi industrializzati – il rallentamento della crescita in termini economici riflette l’aumento del valore del dollaro rispetto alle altre maggiori valute”.

(di Serena Di Ronza/ANSA).