La pelle elettronica diventa wireless, senza chip e batterie

La pelle elettronica wireless, senza chip per il Bluetooth né batterie (fonte: MIT)
La pelle elettronica wireless, senza chip per il Bluetooth né batterie (fonte: MIT)

MILANO. – Nata meno di 20 anni fa per i robot, la pelle elettronica oggi si evolve e diventa wireless, aprendo la strada ad una nuova generazione di tecnologie indossabili utili per la salute e lo sport. Il risultato, pubblicato su Science, si deve ai ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (Mit), che hanno sviluppato una ‘e-skin’ capace di rilevare e trasmettere i segnali relativi a pulsazioni, sudorazione ed esposizione ai raggi ultravioletti senza utilizzare chip per il collegamento Bluetooth né batterie ingombranti.

La nuova pelle elettronica è una pellicola flessibile semiconduttrice che aderisce alla pelle come un cerotto. Il ‘cuore’ del sensore è uno strato ultrasottile di nitruro di gallio, un materiale noto per le sue proprietà piezoelettriche (può produrre un segnale elettrico in risposta a una deformazione meccanica e, viceversa, può vibrare meccanicamente in risposta a un impulso elettrico).

In particolare, i ricercatori hanno prodotto dei campioni di nitruro di gallio puro e li hanno accoppiati con uno strato conduttore di oro per potenziare i segnali elettrici in entrata e uscita. Hanno quindi dimostrato che il dispositivo è abbastanza sensibile per vibrare in risposta al battito cardiaco e ai sali presenti nel sudore: la vibrazione del materiale genera poi segnali elettrici che possono essere letti da un ricevitore posto nelle vicinanze.

Questa ‘e-pelle’ “può essere applicata sul corpo come una fasciatura e, accoppiata a un lettore senza fili sullo smartphone, permette di monitorare frequenza cardiaca, sudorazione e altri segnali biologici”, spiega l’ingegnere Jeehwan Kim del Mit.

Probabilmente questo scenario sembrava ancora fantascienza negli anni Ottanta, quando sono cominciate le prime ricerche sulla pelle elettronica, e forse anche agli inizi degli anni Duemila, quando hanno preso forma i primi prototipi. Risale al 2005 la prima pelle elettronica perfettamente flessibile e in grado di percepire pressione e temperatura: sviluppata all’Università di Tokyo, aveva una doppia rete di sensori per dare agli automi una percezione simile al tatto.

Appena tre anni più tardi, all’Università dell’Illinois, è stata messa a punto una e-skin adesiva che, applicata sulla pelle come un tatuaggio, era in grado di restituire le sensazioni tattili a chi le aveva perdute o di monitorare parametri come quelli relativi al funzionamento del cuore. Sulla spinta di una crescente sensibilità ambientale, nel 2018 è arrivata persino la prima pelle elettronica completamente riciclabile, capace di ripararsi da sola come quella di Terminator ed elastica come quella umana.

Poco dopo è stato il turno della e-pelle in grado di sentire il caldo, il freddo e l’umidità: una svolta per il tatto dei robot ma anche per le protesi degli arti. Nel 2020, nei laboratori della Rmit University di Melbourne, è stata realizzata la prima pelle elettronica che avverte il dolore reagendo in maniera quasi istantanea, proprio come fa la nostra pelle naturale: utile per robot e protesi, si candida a diventare un’alternativa hitech agli innesti di pelle da trapianto. Infine l’estate scorsa i ricercatori del Mit hanno messo a punto la prima e-skin con i pori, capace di aderire meglio al corpo umano per la rilevazione di parametri anche quando si suda durante lo sport.

(di Elisa Buson/ANSA)