E’ subito lite nelle coalizioni sui collegi uninominali

L'interno di una sezione elettorale, in una foto d'archivio.
L'interno di una sezione elettorale, in una foto d'archivio. ANSA/FRANCO SILVI/DRN

ROMA. – Hanno probabilmente determinato l’accelerazione del centrodestra verso la crisi di governo e verso la corsa alle urne, ma sono anche l’oggetto di maggior attrito nella coalizione, specie tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini: si tratta dei collegi uninominali la cui conquista garantisce il successo di una coalizione alle elezioni, forse la maggioranza assoluta, ma che comportano una loro ripartizione tra i partiti, il che implica frizioni iniziate già dopo le amministrative. Un problema presente anche nel centrosinistra ma in termini meno accentuati.

La legge elettorale, il Rosatellum, stabilisce che 3/8 dei seggi di Camera e Senato siano assegnati in collegi uninominali e i restanti con metodo proporzionale tra le liste dei partiti. Quindi 147 dei 400 seggi della Camera e 74 sui 200 di Palazzo Madama vengono assegnati negli uninominali, dove basta un voto in più per vincerli. Chiaramente più ampia è la coalizione e maggiore è la possibilità di vincere questi collegi e così avere una maggioranza più solida nei due rami del Parlamento.

Secondo alcune proiezioni delle scorse settimane (precedenti lo strappo di Lega e Fi dal governo Draghi) il centrodestra con il 45% dei consensi raggiungeva tra il 62 e il 66% dei seggi, tanto che Federico Fornaro (capogruppo di Leu) fece un accorato appello a M5s perché il suo “arroccamento in uno splendido isolamento con la rottura dell’alleanza elettorale con il centrosinistra produrrebbe effetti devastanti”, vale a dire “un centrodestra oltre il 60% dei seggi e vicino a quei 2/3 con cui si può cambiare direttamente la Costituzione”.

Il problema sta nel criterio di suddivisione tra i partiti della coalizione di questi collegi. Dopo le amministrative del 12 giugno, FdI in una riunione tra sherpa, ha avanzato la richiesta di avere il 55% degli uninominali perché questo era il peso dei voti presi dal partito rispetto a quelli complessivi della coalizione; una richiesta che riguardava anche il Nord, cosa che ha provocato il “niet” della Lega.

Per questa contano gli attuali pesi presenti in Parlamento o al più quelli delle ultime elezioni svoltesi su tutto il territorio nazionale, quindi o politiche del 2018 o europee del 2019. Un’era geologica fa, sorridono in via della Scrofa, dove si sventolano i sondaggi in cui FdI ha gli stessi consensi di Lega e Fi messi insieme.

Gli uninominali sono il principale motivo che ha spinto Enrico Letta a perseguire la politica del “campo largo”, dato che M5s permetteva di vincere i collegi in alcuni territori in Campania, Puglia, Sicilia. La rottura di Giuseppe Conte spinge ora il Pd a cercare comunque altri alleati; a contare però non è la percentuale nazionale, ma la concentrazione in determinati territori (come M5s nelle regioni del Sud) che permette la vittoria degli uninominali in quelle zone.

A far rompere la testa ai Dem è inoltre una novità dei nuovi collegi, dopo il taglio dei parlamentari: essi sono molto più grandi dei precedenti, il che implica che quelli di alcune città medie (Brescia, Bergamo, Reggio Emilia, ecc) ora includono anche la provincia dove il centrosinistra è più debole, il che mette a rischio quelli che una volta erano uninominali sicuri.

(di Giovanni Innamorati/ANSA)