Draghi al Senato per una fiducia al buio, partiti divisi

Il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, rende al Senato della Repubblica le comunicazioni sulle dichiarazioni programmatiche del Governo.
Il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, rende al Senato della Repubblica le comunicazioni sulle dichiarazioni programmatiche del Governo. (Ufficio Stampa Palazzo Chigi)

ROMA. – Una giornata cominciata con alcuni spiragli per una conclusione positiva della crisi politica,continuata sul filo della tensione nella quale tutti hanno tenuto le carte coperte. E terminata con nuovi spiragli di ottimismo dopo il vertice a Palazzo Chigi tra Mario Draghi e il centrodestra. Un incontro andato bene, si sottolinea in ambienti di governo. Tanto d far commentare a Enrico Letta: “Domani sarà una bella giornata”.

Il Senato ha deciso che alle 9.30 sarà l’Aula a parlare. Sia pure con alcune importanti novità, a cominciare dal fatto che il premier farà il suo intervento e attenderà le risposte dagli interventi dei partiti per poi decidere, è una fiducia al buio quella che attende Mario Draghi per un confronto che i bookmaker parlamentari danno in perfetta parità.

La giornata inizia di buon ora quando il segretario del Pd, tra i più attivi sminatori della crisi, viene intercettato all’uscita di palazzo Chigi dopo un lungo colloquio con il premier. Incontro che, a conferma del clima elettrico che si respira nei palazzi della politica, viene subito stigmatizzato dal centrodestra che protesta leggendolo come la concessione di una corsia preferenziale ai Dem.

Per tutta la giornata i vertici del centrodestra di governo sono riuniti nella residenza romana di Silvio Berlusconi dalla quale escono segnali di guerra. Poi, in serata, una telefonata del cavaliere a Draghi sblocca la situazione e permette ai leader del centrodestra di recarsi a palazzo Chigi per pareggiare i conti. E subito dopo tornare a riferire a Berlusconi rimasto in attesa a villa Grande.

Sono segnali che confermano come le forze politiche stiano disperatamente cercando di allargare quel “pertugio” che proprio Enrico Letta scorge da giorni. Ma passano le ore e ancora nessuno vede quel “fatto politico” che potrebbe sciogliere ogni nodo. Il riserbo è totale: dopo aver visto Letta a palazzo Chigi Draghi prende la macchina e sale al Quirinale per confrontarsi con Mattarella.

Nulla trapela sulla eventuale decisione presa dal premier tanto che in serata tutti parlano con timore di un lungo showdown al buio nell’Aula del Senato. Dove, peraltro, il dibattito non è stato contingentato forse proprio per permettere di dare qualche ora in più alle riflessioni del premier e alle trattative che si sono moltiplicate.

Assente pesante della giornata il Movimento dal quale non sono uscite nuove indicazioni ma neanche nuove minacce di Aventino. Per molte ore si erano diffuse voci sul fatto che i cosiddetti governisti potessero uscire allo scoperto annunciando urbi et orbi la loro volontà di votare la fiducia. Ma tra smentite ed indiscrezioni questo non è successo.

“Diciamo la verità, il partito di Conte ha già deciso di non votare la fiducia al governo Draghi. Conte sta scommettendo sul voto anticipato, ma sarebbe un ulteriore crollo nei sondaggi”, osserva infatti il ministro degli Esteri Luigi Di Maio tornando ad attaccare il suo ex Movimento.

Che la trattativa sia serrata è evidente, come è altrettanto evidente che le posizioni nei giorni scorsi si siano radicalizzate. Basta pensare che il mantra del centrodestra di governo recita ancora oggi un “basta con l’M5s” che certo non aiuta Draghi a trovare la porta dell’uscita dall’impasse. Stranamente silenzioso Giuseppe Conte che sembra voler lasciare il cerino in mano al premier e al centrodestra, anche se in serata, dopo la salita dei leader a palazzo Chigi, si sono moltiplicate le voci di un suo faccia a faccia notturno con il premier, o almeno di un colloquio telefonico tra i due contendenti.

Mentre i più ottimisti parlano già di un rimpasto in caso di uscita del M5s, è partita la caccia ai “governisti” che potrebbero votare la fiducia in ogni caso. Molto, anzi moltissimo, dipenderà dalle parole che userà domani Draghi, dalle aperture o, al contrario, dalla durezza dei toni. Quel che è certo che osservando questa maionese impazzita il presidente del Consiglio sarà costretto a cambiare e limare il suo intervento fino al suo ingresso in Aula.

(di Fabrizio Finzi/ANSA)

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