Covid: risposta debole al vaccino per immunodepressi

Il centro dell'ospedale pediatrico Bambino Gesù dedicato al day hospital ed alla ricerca scientifica, presso San Paolo Fuori le Mura, Roma.
Il centro dell'ospedale pediatrico Bambino Gesù dedicato al day hospital ed alla ricerca scientifica, presso San Paolo Fuori le Mura, Roma. ANSA/UFFICIO STAMPA

ROMA. – I ragazzi o i giovani adulti con sindrome di Down hanno una risposta al vaccino contro Covid simile a quella di un anziano. Chi soffre di malattie infiammatorie croniche, invece, tende a rispondere bene alla vaccinazione, salvo nei casi in cui assume alcune terapie per controllare la propria patologia: in tal caso gli anticorpi contro il virus quasi si dimezzano.

Sono due dei casi fatti emergere da una serie di cinque studi condotti da ricercatori del Bambino Gesù di Roma che si sono concentrati su una categoria particolarmente vulnerabile a Sars-CoV-2: quella delle persone immunodepresse, a causa di una patologia che le affligge o delle terapie a cui sono sottoposte.

“La maggior parte dei soggetti immunodepressi risponde al vaccino ma in misura minore rispetto ai soggetti sani, mentre una percentuale minoritaria non sviluppa purtroppo alcuna forma di immunità al virus”, spiega Paolo Palma, responsabile di Immunologia Clinica e Vaccinologia del Bambino Gesù. “Per questi pazienti fragili è importante intervenire con una strategia vaccinale di rinforzo e personalizzata”.

Le ricerche, che si inseriscono in un progetto denominato Convers, hanno coinvolto complessivamente 165 pazienti di età compresa tra i 12 e i 25 anni affetti da condizioni diverse, tutte accomunate da un indebolimento del sistema immunitario. Nel dettaglio, gli studi hanno mostrato che tutti i pazienti con infezione perinatale da Hiv sviluppavano anticorpi contro Sars-CoV-2, ma in quantità inferiori rispetto alla norma; l’89% di loro non aveva risposta a livello di linfociti T.

I pazienti con malattia infiammatoria cronica, invece, avevano una risposta immunitaria comparabile al gruppo di controllo, ma nei pazienti che utilizzavano farmaci appartenenti alla categoria degli anti-TNF la risposta sierologica era inferiore del 43%. Peculiare il caso dei ragazzi e giovani adulti con sindrome di Down, che avevano una risposta sierologica comparabile a quella degli over-65. Tra i pazienti con immunodeficienza primitiva, invece, il 14% non sviluppava anticorpi, mentre gli altri lo facevano ma con livelli inferiori alla media.

Infine, i bambini sottoposti a trapianto di cuore e polmone non aveva sviluppato anticorpi né linfociti T specifici nel 31% dei casi. “La strategia vaccinale va adattata alle specificità di ogni gruppo di pazienti”, dice ancora Palma. “In attesa di individuare le migliori strategie vaccinali restano fondamentali le dosi aggiuntive che garantiscono comunque una valida forma di protezione in queste categorie di pazienti”.

(di Antonino Michienzi/ANSA)

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