La nuova “rivoluzione” in America Latina, tra delusioni e speranze

Gabriel Boric e Izkia Siches durante_asuncion_presidencial
Il presidente colombiano Petro con la figlia

Tanta voglia di welfare; da sempre. Ma solo dall’inizio di questo secolo, da quando l’estinto presidente Chávez presentò il suo programma di governo, prima, e il suo progetto di “Socialismo del Secolo XXI”, poi, i movimenti progressisti dell’America Latina hanno cominciato realmente a credere che il loro sogno di una vita migliore potesse diventare realtà, salvo poi accorgersi di essere stati ingannati da chi, una volta acquisito il controllo di tutti gli organi dello Stato, rinnegava le promesse fatte per badare solo a perpetuarsi nel potere anche con la violenza. Mai come oggi, quei movimenti progressisti erano stati sulla cresta dell’onda, e mai il vento aveva soffiato a loro favore con tanta forza .
Il giovane Gabriel Boric, in Cile; il polemico Pedro Castillo, in Perù; l’ex guerrigliero Gustavo Petro, in Colombia sono i volti di una nuova sinistra che lotta per cancellare il populismo e la demagogia che hanno accompagnato, fin dal loro insediamento, in Venezuela, Nicaragua e Cuba, governi autocratici e dittatoriali che, tutt’oggi al potere, violano le più elementari regole della democrazia e dei diritti umani macchiandosi di crimini contro l’umanità.
I movimenti progressisti latinoamericani, oggi, si dibattono tra frustrazioni e paure. Delusione per l’occasione mancata da chi, a inizio di questo secolo, si autoproclamava paladino della rivoluzione egualitaria – leggasi, Nestor Kirchner, in Argentina; Evo Morales, in Bolivia; Rafael Correa, in Ecuador e Hugo Chávez, in Venezuela -, e il timore di essere traditi nuovamente dai leaders attuali. Insomma, di vedere svanire all’orizzonte la speranza di una società più giusta e democratica, costruita sulla base del benessere sociale.

Il presidente del Perù, Pedro Castillo

D’altronde, era quanto predicava l’estinto presidente Chávez in Venezuela, salvo poi dimenticarsene dopo aver assoggettato tutti i poteri dello Stato. Sono gli stessi che erano sostenuti da Morales, Correa, Kirchner. Quella società più giusta e democratica non è stata mai costruita anche se, ad onore della verità, bisogna riconoscere che in Ecuador e Bolivia fu fatto qualche progresso. Il “Socialismo del Secolo XXI”, pubblicizzato a destra e a manca dal presidente Chávez, risultò essere solo un “bluff”, uno specchio per le allodole. Quel sogno, agli atti pratici, solo ha partorito quella che alcuni analisti hanno battezzato con il nome di “triade del male”. Ovvero, i governi autocratici e totalitari di Nicolás Maduro, in Venezuela; dei Castro (Raúl continua a muovere le fila del potere da dietro le quinte), a Cuba; e della dinastia degli Ortega, che ha sostituito quella dei Somoza in Nicaragua. La loro ascesa è stata il prodotto di un misto tra messaggi populisti e divagazioni demagogiche che hanno accompagnato e permesso la conquista di tutti i poteri dello Stato, in un primo momento; e, poi, giustificato la ferrea repressione con la quale lo “Stato di diritto” è stato sostituito da uno “Stato di polizia”. La persecuzione della dissidenza, che ha obbligato i leader dell’opposizione e tanti giornalisti ad intraprendere la via dell’esilio o della clandestinità, ne è stata la logica conseguenza.
In Colombia, in Cile, in Perù e in un futuro prossimo probabilmente in Brasile, se i seggi dovessero dare ragione ai sondaggi e Luis Ignacio “Lula” Da Silva tornare al potere, i movimenti progressisti si trovano ad agire in un contesto complesso e delicato. L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin ha risvegliato i fantasmi del passato. Il mondo non è mai stato esente da guerre. Ma i “fronti caldi”, da quasi ottant’anni, erano localizzati in Siria, nello Yemen, in Etiopia, in Pakistan, solo per nominarne alcuni, ma non alle porte dell’Europa. Il conflitto causato dall’attacco russo all’Ucraina ha provocato il ritorno alla “guerra fredda” e ha scompaginato il già intricato scacchiere internazionale. Stati Uniti, Russia, Cina, ed ora anche timidamente l’Unione Europea, cominciano a muovere le loro pedine per costruire un nuovo “Ordine Mondiale”. E la Nato risorge dalle ceneri.
La Guerra in Ucraina ha già conseguenze nell’ambito economico. Era ingenuo illudersi che non ci fossero pesanti riflessi: stop alla crescita e pericolosa spirale inflazionistica.
L’ottobre scorso, il Fondo Monetario Internazionale, al presentare il suo “Outlook” di autunno, segnalava che, nonostante ci fossero chiari segnali di risveglio dei contagi per Covid, “la ripresa economica continuava”. Per il 2022, proiettava una crescita dell’economia mondiale del 4,9 per cento. Successivamente, a gennaio, correggeva le proprie proiezioni verso il basso: 4,4 per cento. Ad aprile, rettificava ancora: 3,6 per cento.

Il volto della repressione

 

Parallelamente alla riduzione del tasso di crescita dell’economia, si assiste ad un incremento del livello d’inflazione che si teme possa trasformarsi in spirale pericolosa. Di fatto, ha già raggiunto livelli che non si registravano da quattro decadi. C’è sempre stata la consapevolezza che il risveglio della domanda, dopo la crisi causata dalla pandemia e dal “lockdown” imposto per combatterla, avrebbe provocato pressioni sui prezzi. Era il costo scontato, ma non eccessivo, da pagare per assicurare il benessere dei settori più colpiti dalla diffusione della Covid. Tra l’altro si aveva la certezza che il fenomeno sarebbe stato transitorio. La guerra ha sparigliato le carte in tavola.
Ora con le sanzioni alla Russia e il conflitto in Ucraina, in alcuni paesi dell’America Latina si presenta uno scenario contraddittorio. Da un lato, la recessione mondiale provocherà la riduzione del consumo e, quindi, un minor livello di esportazione delle materie prime. Dall’altro lato, la guerra sta distruggendo il vecchio ordine mondiale, rispolverando la guerra fredda e creando nuovi schieramenti. In questo contesto, i mercati di esportazione e di materie prime avranno un loro riallineamento che risponderà necessariamente al riequilibrio geopolitico.
L’America latina, in questo contesto, potrebbe inserirsi come rifornitore sicuro e affidabile di materie prime con mira alla creazione o rilancio di una propria industria di trasformazione. Dovrà quindi scegliere in quale lato della storia collocarsi. Sarà impossibile non farlo.
Il distinguo tra i “nuovi governi progressisti” e quelli che, dopo aver agitato la bandiera della rivoluzione democratica ed egualitaria, sono derivati in autocrazia e dittatura, dipenderà dalle prossime scelte. Avanzare in politica interna in maniera trasparente nella conquista dei diritti civili e del benessere sociale è importante. Farlo guardando alle democrazie moderne in cui il welfare ha permesso di assicurare alti livelli di benessere, sarà essenziale. Abbandonare i cliché degli anni ’60, ancorati alla “lotta armata” e a vecchie chimere superate dalla storia, senza rinunciare al sogno di una “società del benessere più giusta”, sarà vitale .

Mauro Bafile