Salah Abdeslam non uscirà mai più dal carcere

Una delle prime immagini della fuga di Salah Abdeslam, tratte da un video della sorveglianza. (ANSA)

PARIGI.  – La chiamano “pena di morte sociale” e finora in Francia era stata pronunciata soltanto per 4 persone, mai per un terrorista.

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É l'ergastolo "incomprimibile", cioè senza nessuna possibilità di sconti, riduzioni o commutazione in pene alternative: Salah Abdeslam, il decimo terrorista delle stragi jihadiste del 13 novembre 2015, l'unico sopravvissuto, trascorrerà il resto dei suoi giorni in carcere.

Aveva detto, prima della chiusura del maxiprocesso in cui era il principale imputato, di aver "commesso errori" ma di non aver "ucciso nessuno". Il suo avvocato aveva proclamato che se la condanna fosse stata all'ergastolo perpetuo, a vincere sarebbe stato "il terrorismo".

Francese di origini marocchine, 32 anni, dopo 6 anni di silenzio in un carcere di massima sicurezza, Salah aveva cominciato spavaldo, arrivando a provocare i parenti delle vittime presenti, a proclamarsi un soldato dell'Isis. Via via il suo atteggiamento – da settembre a fine giugno – era profondamente cambiato.

In un’udienza a febbraio aveva pianto, si era descritto come un elemento di secondo piano, non al corrente dei piani dei capi. E, soprattutto, aveva assicurato di aver volontariamente gettato e disinnescato il giubbetto esplosivo con il quale sarebbe stato destinato a farsi esplodere in un bar del quartiere di Montmartre. Poi, vedendo i giovani ballare ed ascoltare musica, ci aveva rinunciato.

I suoi avvocati hanno insistito sul fatto che Abdeslam non è comunque entrato in azione, non ha ucciso nessuno direttamente e che la struttura dei commando jihadisti è fatta “a camere stagne”: ogni membro non conosce il piano generale, né le identità degli altri.

Fra i 19 condannati sul totale di 20 imputati figura anche Mohamed Abrini, “l’uomo col cappello” degli attentati di Bruxelles, che avrebbe anche lui dovuto far parte dei comando di Parigi: gli sono stati inflitti 22 anni di massima sicurezza.

Al processo cominciato il 6 settembre scorso nell’aula bunker appositamente costruita per ospitare fino a 3.000 persone, in moltre 140 giornate di udienza sono comparsi 14 imputati sui 20 previsti. Gli altri 6 sono stati giudicati in contumacia, 5 dei quali (dirigenti dell’Isis) sono quasi certamente già morti nella regione fra Iraq e Siria.

Il processo è stato integralmente filmato e si è basato su un volume di dossier senza precedenti: 542 tomi, 47.000 verbali, una torre di pratiche cartacee di 53 metri di altezza, il tutto frutto di 4 anni e mezzo di istruttoria. Presidente della Corte d’assise è stato il giudice Jean-Louis Peries, che ha avuto a che vedere, oltre che con gli imputati, anche con 330 avvocati della difesa, davanti ai giornalisti di 141 media accreditati.

La sala Grand Procès, allestita ad hoc dopo lavori durati un anno e mezzo nel Palais de Justice che sorge nel cuore di Parigi, l’Ile-de-la-Cité, è costata 7,5 milioni di euro. Servirà l’anno prossimo anche al processo per la strage di Nizza del 14 luglio 2016.

La sera delle stragi si cominciò con i kamikaze allo Stade de France, dove si stava giocando l’amichevole Francia-Germania, poi con le sventagliate di mitra contro gli avventori seduti ai tavolini dei bar e dei bistrot, quindi l’irruzione del comando suicida armato di cinture esplosive al Bataclan, dove era in scena un concerto rock del gruppo californiano Eagles of Death Metal.

In quel teatro morì anche Valeria Solesin, veneziana di 28 anni, che era al concerto con il fidanzato. In un attacco senza precedenti, telecomandato dall’Isis, furono uccise 130 persone e 350 rimasero ferite. In tanti riportarono traumi fisici e psichici permanenti.

Due dei killer riuscirono a fuggire ma 5 giorni dopo furono rintracciati dopo una caccia all’uomo casa per casa: il cervello operativo, il jihadista super ricercato Abdelhamid Abaaoud, fu ucciso con un complice in un appartamento di Saint-Denis, a nord della capitale.

Seguì, nei giorni dopo il tremendo shock, una storica manifestazione internazionale guidata dal presidente Francois Hollande per le strade di Parigi, lo stato d’emergenza con chiusura delle frontiere e l’inizio della tentacolare inchiesta, che da súbito coinvolse la giustizia belga: diversi, infatti, i movimenti che i terroristi avevano sfruttato sulla rotta fra la Siria – grazie alle basi di francesi e belgi partiti per combattere la jihad -, il Belgio e la Francia, con una connessione diretta per fornitura di armi e logistica fra la periferia di Bruxelles e quella di Parigi.

(di Tullio Giannotti/ANSA).