Pd e M5s patto necessario, ma Letta mira anche al centro

Il segretario del Pd Enrico Letta durante la Direzione Nazionale del partito.
Il segretario del Pd Enrico Letta durante la Direzione Nazionale del partito. (Frame video partitodemocratico.it)

ROMA. – Quando è unito, il centrodestra vince. E quindi, per sperare di competere alle politiche 2023, servirà un’alleanza progressista la più larga possibile. Nessuno metta veti. Al Nazareno, prima di tutto si sottolinea un dato: “Quello che emerge chiaramente – ha rimarcato Enrico Letta – è che il Pd è il primo partito d’Italia, dal sud al nord, nelle città più grandi e più piccole”.

Tradotto, le urne lo confermano: il patto contro le destre avrà i dem come perno. Il tempo per costruirlo c’è. Per il resto, però, il sorriso è a mezza bocca. Il “giudizio è decisamente positivo”, ha spiegato il segretario Pd, perché ci sono ottimi risultati non scontati, come quelli al nord, a Verona, Parma, Lodi e Padova. Ma altri, seppur annunciati, bruciano: come quelli di Palermo, Genova. E pure L’Aquila. Poi c’è il crollo dei compagni di viaggio del M5s, che pesa sulle prospettive del campo largo. E il centro, che tiene, ma che è restio a entrare nella coalizione in vista del 2023.

I ragionamenti che si fanno ai vertici del Pd, però, non si fermano ai numeri di giornata. “Non ci facciamo confondere da questo voto – è l’osservazione – perché il M5s alle amministrative è sempre andato male, ma le politiche sono un’altra cosa”. E Calenda? “Un’illusione ottica”, si lascia sfuggire un esponente Pd: “Sa far ben apparire i risultati in qualche comune, come L’Aquila, ma nel resto?”.

In ogni caso, di fronte a un centrodestra che fa paura, al Nazareno il refrain è: “La proposta del campo largo riguarda tutto il centrosinistra, il M5s ma anche Azione e Iv. Noi non poniamo veti, ma nessuno deve porre veti”. Il messaggio è rivolto all’interno, a quell’area del Pd che non digerisce la convivenza con i cinque stelle e che guarda al centro. Ma anche all’esterno: da una parte a chi, come Azione, dice “mai col M5s”. E dall’altra a chi, come il M5s, dice: “Con Azione anche no”.

Nel Pd si guarda al modello dell’Ulivo, per non cascare nella palude che fu l’Unione. E quindi, c’è chi sta cominciando a pensare di proporre ai potenziali alleati una sorta di decalogo, che parta dall’europeismo e comprenda i temi del lavoro – col salario minimo – dei diritti civili – come il Ddl Zan – della transizione ecologica. Per poi vedere chi ci sta, guardando quindi a cosa fare e non alle sigle.

“C’è il grande lavoro delle Agorà democratiche – ricordava un big del partito – con cui si sta stilando uno scheletro di programma da cui partire. Le Agorà sono per definizione un campo aperto, basta vedere chi fa parte dell’osservatorio, da Gianrico Carofiglio a Carlo Cottarelli ad Andrea Riccardi ed Elly Schlein”.

Portare Calenda dentro il campo largo non sarà facile, visto che ha fatto dell’alterità al M5s il punto di partenza della sua strategia. E anche Matteo Renzi va ripetendo che “il grillismo è finito”, che il Pd deve guardare solo al centro. “Ma quando ci sarà da definir le candidature – scherzava un dem – le cose cambieranno”.

Da quale punto di forza il Nazareno intende ripartire nella sua opera di federatore, di perno del campo largo, è chiarissimo: “Da sud a nord – ha detto Letta – dovunque, nelle città più grandi e più piccole, attorno a noi abbiamo intenzione di costruire con impegno coalizioni che non siano approssimative, ma le vogliamo costruire sulla base di programmi e cose da fare. Se non lo facciamo, vincerà la destra”.

(di Giampaolo Grassi/ANSA)

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