I Biden volano in Texas, monta la protesta contro le armi

IL presidente Joe Biden e lal moglie Jill. (/ANSA/EPA)

WASHINGTON.  – Joe Biden vola in Texas nei prossimi giorni con la first lady indossando nuovamente i panni del “consoler-in-chief” per “confortare le famiglie delle vittime e una comunità in stato di shock” dopo il massacro nella scuola elementare di Uvalde, come aveva fatto la scorsa settimana in seguito alla strage di un suprematista bianco in un supermercato di Buffalo, nello stato di New York.

Un ennesimo viaggio di lutto e dolore, mentre crescono nel Paese le proteste contro le armi e la rabbia dei genitori dei 19 alunni morti per la lentezza dell’intervento delle forze di sicurezza.

La Casa Bianca non ha ancora precisato la data ma è probabile che il presidente sbarchi a Uvalde nel weekend, nel pieno della convention annuale nella città texana di Houston della National Rifle Association (Nra): è la potente lobby delle armi che, finanziando i parlamentari (soprattutto repubblicani), blocca da anni ogni tentativo di riforma in materia.

Una coincidenza temporale che evidenzierà un contrasto stridente in un Paese sempre più polarizzato: da un lato Biden con le famiglie delle vittime, dall’altro l’evento dei “patrioti” della Nra con la partecipazione venerdì di Donald Trump, del senatore già candidato presidenziale Ted Cruz e del governatore del Texas Greg Abbott. Presenze che hanno indignato l’opposizione.

“Sei un truffatore assoluto”, ha accusato in aula il leader della  maggioranza dem al Senato Chuck Schumer riferendosi ad Abbott e chiedendogli se chiederà ai suoi “amici del movimento Maga (quello del tycoon) e ai suoi compagni della Nra di mettere da parte la loro agenda e di pensare a qualcun altro oltre che a se stessi”.

Il governatore texano, attaccato mercoledì anche dal suo futuro sfidante dem Beto O’Rourke (“non stai facendo niente”), è finito nel mirino per aver promosso l’acquisto di armi e per aver firmato lo scorso anno una legge che ne liberalizza la detenzione in pubblico senza licenza, controlli o addestramento a soli 18 anni: come ha fatto il killer di Uvalde, quando per bere una birra ne servono 21. A suo avviso le restrizioni non servono, come dimostrerebbe il fatto che “ci sono più vittime di sparatorie nei weekend a Chicago che nelle scuole in Texas”.

La soluzione, per lui e gran parte dei repubblicani, è armare insegnanti e guardie delle scuole e rafforzare l’assistenza mentale per prevenire quelli che la Nra ha definito atti “di criminali isolati e disturbati”. Paradossale però che per l’evento Nra saranno vietate le armi, a tutela di Trump, come chiesto dal Secret Service.

Contro l’assemblea dalla lobby delle armi, cominciata giovedì al George R. Brown Convention Center, sono previste vivaci proteste destinate ad avere un’eco nel Paese, mentre il cantautore americano Don McLean ha annunciato che non canterà più alla convention Nra per rispetto delle vittime. Il gruppo di attivisti per il controllo delle armi ‘March for Our Lives’ sta intanto pianificando per l’11 giugno manifestazioni in tutto il Paese e una nuova marcia nella capitale, dopo quella imponente di quattro anni fa per la strage nella scuola di Parkland, in Florida. ”

Nel 2018 avete marciato con noi per porre fine alla violenza armata – ha scritto l’organizzazione su Twitter -.  Quattro anni dopo, stiamo marciando di nuovo”. Un modo anche per premere sul Congresso, dove i dem sperano ancora in un compromesso per una stretta sulle armi su cui concorda la maggioranza degli americani (secondo i sondaggi). Ma i repubblicani appaiono irremovibili, a pochi mesi dalle elezioni di Midterm.

Per loro la difesa ideologica del secondo emendamento della costituzione sul diritto all’autodifesa è un dovere quasi sacro, un credo assoluto, un requisito per preservare l’american way of life. Mentre per Biden e i dem “non è assoluto” o, per dirla col cardinale arcivescovo di Chicago Blase Cupich, “non è sceso dal Sinai”.

Ma, al di là delle generose donazioni della Nra, il diritto a portare le armi sembra ormai diventato un dogma in una società sempre più divisa e diffidente verso lo Stato, i propri vicini, i manifestanti: gli americani sono solo il 4% della popolazione mondiale ma hanno quasi metà delle armi registrate nel pianeta e lo scorso anno ne hanno acquistato circa 20 milioni, la seconda cifra più alta nella loro storia. Questo nonostante il crescente numero di sparatorie, che causano oltre 20 mila morti l’anno, senza contare i suicidi: un Paese che sta uccidendo se stesso.

(di Claudio Salvalaggio/ANSA)

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