NEW YORK. – Uccidere il responsabile della distruzione dell’Iraq in quella Dallas già teatro nel 1963 dell’assassinio di John Fitzgerald Kennedy. Era questo il piano di una cellula dell’Isis per assassinare l’ex presidente George W. Bush. Un complotto organizzato nel dettaglio ma sventato dall’Fbi grazie a due suoi informatori e al monitoraggio online.
La mente dell’operazione, l’iracheno Shihab Ahmed Shihab, covava da anni odio contro Bush e cercava vendetta per l’invasione dell’Iraq nel 2003. Giunto negli Stati Uniti nel 2020 e in attesa di una risposta alla sua domanda di asilo, l’uomo viveva a Columbus, in Ohio, da dove tesseva la tela per portare a termine la sua missione, uccidere il 43mo presidente degli Stati Uniti. Dopo mesi trascorsi a elaborare strategie con presunti complici in altri paesi del Medio Oriente, Shihab alla fine del 2021 era pronto a colpire con l’aiuto di un comando fatto entrare dal Messico.
Lo scorso novembre è volato in Texas per un sopralluogo: ha filmato la casa dell’ex presidente e il George W. Bush Institute, secondo quanto emerge da una richiesta di mandato di perquisizione depositata dall’Fbi lo scorso 23 marzo. Nello stesso periodo ha rivelato a uno degli informatori sotto copertura dell’agenzia federale il suo piano e gli ha chiesto aiuto per ottenere un “badge falso” della polizia con cui poter agire più liberamente. Il suo piano includeva anche trovare e uccidere un ex generale iracheno che ha aiutò gli americani durante la guerra del 2003 e che, secondo indiscrezioni, vive negli Usa sotto copertura.
Dei due informatori, con i quali era entrato in contatto per ottenere documenti falsi dell’immigrazione, Shahib si fidava tanto da accettare di usare un cellulare che gli avevano fornito. Uno smartphone che poi si è rivelato fatale per la sua operazione. A loro aveva raccontato di essere parte dell’unità di ‘Al-Raed’ e rivendicato di aver ucciso molti americani in Iraq fra il 2003 e il 2006 con auto imbottite di esplosivo. E con loro era entrato anche nei dettagli della sua missione, rivelando che un gruppo di sette persone sarebbe stato inviato negli Stati Uniti per uccidere Bush.
Il commando includeva quattro suoi connazionali che sarebbero dovuti arrivare da Iraq, Turchia, Egitto e Danimarca. Uno di questi era il “segretario di un ministro delle finanze dell’Isis”, aveva raccontato a uno degli informatori, spiegandogli che i quattro uomini appartenevano all’ex partito Baath di Saddam Hussein ed erano in “esilio politico” perché contrari all’attuale governo iracheno. Il commando sarebbe dovuto entrare negli Stati Uniti illegalmente dal Messico, dove doveva atterrare con semplici visti turistici. Una volta portata a termine l’operazione avrebbe lasciato gli States con le stesse modalità.
Shihab sembrava fiducioso considerato che era già riuscito a far entrare negli Stati Uniti almeno due uomini associati ad Hezbollah al prezzo di 50.000 dollari l’uno. Grazie ai suoi due informatori a pagamento, l’Fbi è riuscita però a sventare il complotto e a fermare l’uomo, attualmente sotto la custodia delle autorità.
“Il presidente Bush ha tutta la fiducia del mondo nel Secret Service e nell’intelligence”, afferma un portavoce dell’ex presidente. Proprio Bush negli ultimi giorni è scivolato sull’Iraq. In una gaffe che non è passata inosservata ha confuso l’Ucraina con l’Iraq mentre criticava Vladimir Putin per la sua “ingiustificata e brutale invasione”.
Le stesse parole che furono rivolte alla sua amministrazione nel 2003, quando il presidente autorizzò l’operazione in Iraq, motivandola con la necessità di eliminare quelle armi di distruzioni di massa che poi non furono mai trovate.
(di Serena Di Ronza/ANSA).