Per una pernacchia tra ragazzini sei anni di processi

Eduardo Di Filippo nella famosa scena de "L'oro di Napoli" in cui dà una lezione di pernacchio.
Eduardo Di Filippo nella famosa scena de "L'oro di Napoli" in cui dà una lezione di pernacchio.

NAPOLI. – La vicenda, accaduta a Napoli, risale a qualche anno fa e dimostra come la voglia di Giustizia possa tradursi in uno spreco di risorse, ma anche in una sentenza della Suprema Corte singolare: tutto nasce per una pernacchia, “rumore volgare”, stando al vocabolario, che si produce “emettendo un forte soffio d’aria tra le labbra serrate”.

La variante napoletana è il “pernacchio”, ma la sostanza e anche il fine non cambiano: viene utilizzato, il pernacchio, per deridere o sbeffeggiare qualcuno, ma è diventato arte ne “L’oro di Napoli”, con la celeberrima lezione impartita da Eduardo De Filippo ad alcuni amici vogliosi di vendicarsi di un nobile irriguardoso.

La querelle, in questione, che ha costretto la giustizia a pronunciarsi ben cinque volte, vede protagonisti due fratellini e una loro compagna di scuola. I ragazzini, con cadenza giornaliera, attendevano la compagnetta di classe e appena questa faceva capolino pronunciavano a gran voce il suo cognome seguito da un fragoroso pernacchio.

Un gesto inequivocabilmente sgradevole, anche se vede protagonisti dei minori, che non è andato giù alla mamma della ragazzina la quale, dopo reiterati e inutili tentativi di far desistere i due fratellini, alla fine, ha deciso di denunciarli.

L’iter giudiziario, durante il quale sono stati anche ascoltati una decina di testimoni, si è concluso dopo ben sei anni, precisamente il 25 febbraio. E soprattutto dopo ben cinque pronunciamenti dell’autorità giudiziaria: il primo è del gup del Tribunale per i minorenni che ha disposto il rinvio a giudizio; il secondo è del Tribunale per i minorenni che ha deciso per il “perdono giudiziale”, riconoscendo contestualmente la penale responsabilità, quindi comunque una condanna. Poi c’è stato il verdetto della Corte d’appello per i minorenni che ha confermato il “perdono giudiziale”.

Il ricorso alla Corte di Cassazione ha però annullato quest’ultima decisione, con un rinvio alla Corte d’appello, ritenendo che il pernacchio non può essere considerato come una forma di molestia (era appunto questa la contestazione nei confronti dei due fratellini) mancando il requisito dell’offensività. I giudici d’appello, rifacendosi a questo orientamento, hanno pronunciato l’ultimo e definitivo verdetto, dichiarando l’estinzione del reato per irrilevanza penale del fatto (il pernacchio).

“La questione – spiega l’avvocato Silvio Auriemma, legale di una delle due parti in causa – da un punto di vista professionale porta a un certo grado di soddisfazione, perché si tratta di una questione ‘filosofica’ insita nella cultura napoletana. D’altro canto resta l’amarezza, però, per avere ingolfato il sistema giustizia con una questione quasi bagatellare, seppure foriera di sorrisi”.

(di Nando Piantadosi/ANSA)