Don Matteo, dalle periferie di Roma a capo dei vescovi

Mons. Matteo Zuppi con Papa Francesco.
Mons. Matteo Zuppi con Papa Francesco. (Vatican News)

ROMA. – A Bologna nessuno lo chiama ‘sua eminenza’ ma solo ‘don Matteo’, come facevano nelle periferie di Roma dove è iniziata la sua missione pastorale. Gira ancora in bicicletta e ha scelto per abitazione, lui che è ‘principe’ della Chiesa, come venivano chiamati i cardinali, la Casa del clero, dove vivono normalmente i preti anziani, anziché l’appartamento in arcivescovado.

E’ fatto così Matteo Zuppi, classe ’55, che ha respirato aria di chiesa fin da bambino nella sua numerosa famiglia, quinto di sei figli. È pronipote, per parte di madre, del cardinale Carlo Confalonieri. “Quel che mi resta di lui è un senso di servizio e obbedienza alla Chiesa essenziale e indiscusso”, disse parlando dello zio.

Ma soprattutto Zuppi è cresciuto nella Comunità di Sant’Egidio. Ha condiviso i corridoi del liceo Virgilio con Andrea Riccardi, negli anni in cui a frequentare la scuola di via Giulia c’era anche David Sassoli. Amicizie che sono rimaste nel tempo e che hanno segnato il futuro non solo di queste persone ma anche, in un certo senso, della vita sociale e politica del Paese.

Zuppi in quegli anni ha cominciato a frequentare la gente delle scuole popolari per i bambini emarginati delle baraccopoli romane, come anche era sempre in prima fila alle feste per gli anziani soli e non autosufficienti. E poi i rom, gli immigrati, i senza fissa dimora, i carcerati. Per tutti una parola, nel suo inconfondibile accento romano che non ha perso neanche in questi anni a Bologna.

A 22 anni, dopo la laurea in Lettere all’Università La Sapienza, con una tesi in Storia del cristianesimo, entra nel seminario della diocesi di Palestrina, seguendo i corsi di preparazione al sacerdozio alla Pontificia Università Lateranense, dove consegue il baccellierato in Teologia. Ordinato sacerdote nel 1981 viene nominato ‘vice’ del parroco della basilica romana di Santa Maria in Trastevere, Vincenzo Paglia, con il quale ha condiviso decenni di impegno e amicizia nella comune ‘casa’ di Sant’Egidio.

Importanti anche le missioni svolte nel mondo per conto dell’ ‘Onu di Trastevere’ per riportare la pace lì dove sembrava impossibile, come in Mozambico. Nel 2010 viene chiamato a guidare una parrocchia di periferia, a Torre Angela. Poco dopo, il 31 gennaio 2012 Benedetto XVI lo nomina vescovo ausiliare di Roma. Il 27 ottobre 2015 Papa Francesco lo nomina alla sede metropolitana di Bologna e il 5 ottobre 2019 lo crea cardinale con il Titolo proprio di Sant’Egidio.

Indimenticabile quello zucchetto color porpora sulle “23” come appare in tante foto di quel giorno; non si sa se lo portava così perché quel copricapo non gli calzava a pennello o perché scelse di indossarlo in maniera un po’ meno solenne.

A Bologna, Zuppi si è ritrovato un’impresa, la Faac, la multinazionale dei cancelli automatici che l’imprenditore Michelangelo Manini lasciò alla sua morte alla Chiesa. La gestione è stata affidata dal suo predecessore, il cardinale Caffarra, a un trust, ma gli utili milionari vengono investiti in progetti di carità e fondi per i bisognosi. Nel ruolo di ‘titolare’, Zuppi ha messo la casacca più del sindacalista che dell’imprenditore, dando poche ma chiare indicazioni al consiglio di amministrazione: guai a licenziare, oltre a un invito ad adottare iniziative per agevolare il rapporto con i figli di quei genitori che lavorano in azienda.

(di Manuela Tulli/ANSA)