Anna Maria Saba: “Mettere la parola in scena”

La professoressa Anna Maria Saba con alcuni alunni che lo scorso anno hanno interpretato "La Vedova Scaltra" di Goldoni

MADRID – “L’idea di allestire un’opera teatrale con gli alunni nasce da una mia esperienza precedente e, soprattutto, dalla consapevolezza che i giovani possono dare tanto. Avendo sempre amato il repertorio classico, comico italiano, e avendolo messo già in scena, mi sono chiesta: perché non creare anche qua, in Spagna, una compagnia teatrale trasversale, interclasse capace di mettere insieme gli alunni attorno ad un progetto che sia per loro una educazione al teatro. Attenzione… non una educazione funzionale alla socializzazione ma funzionale alla conoscenza di come mettere la parola in scena. Ho chiesto ai ragazzi un’attitudine, una volontà, un desiderio. Ho cercato di convincere chi si mostrava interessato e, allo stesso tempo, incerto. Così ho formato questa compagnia teatrale”. Anna Maria Saba è professoressa di storia e filosofia nella Scuola Statale Italiana. È entusiasta del lavoro svolto, e così ce lo ha confessato, ma è soprattutto orgogliosa dei propri alunni. Il 20 maggio ci sarà la “prima” dell’opera teatrale “La Vedova Scaltra” di Carlo Goldoni; un’opera teatrale, come hanno scritto gli studenti responsabili della locandina, “ambientata nel 700 veneziano durante il Carnevale”.

“Rosaura, una giovane vedova – è la trama abilmente riassunta nella locandina -, dopo la morte del suo vecchio marito, in possesso di una notevole fortuna, intende risposarsi. Corteggiata da quattro gentiluomini, trova uno stratagemma per scegliere l’innamorato del suo cuore”.

– All’inizio dell’anno – ha proseguito la professoressa Saba -, alcuni alunni mi hanno proposto di fare teatro. Ho detto loro: “ragazzi non è cosa da poco. Se realmente volete portare avanti il progetto, e muovere i primi passi, allora la cosa parte”. Ne ho parlato col preside Massimo Bonelli che ha accettato immediatamente e consigliato: “andiamo piano, piano”.

Ottenuta l’autorizzazione, ha deciso di prendere, “come asse portante, una classe di dieci persone”. Così ha spiegato la ragione:

– Volevo che fossero coinvolti alunni di tutte le classi. Certo, non tutti nella recitazione, ma sì nel progetto. Volevo che tutti avessero una funzione: scenografia, luci, suono, reperimento oggetti, studio, supervisione di “quadri”. A tutti ho dato una responsabilità. Ho avuto risposte sinceramente incredibili, di grande maturità. Ad esempio, le ragazze della cabina della luce e del suono si sono trasformate in vere e proprie esperte.

Nonostante la ritrosia di alcune professoresse che ritenevano che gli alunni della quarta liceo, impegnati nella preparazione per gli esami di maturità, non avrebbero potuto partecipare nel progetto, la professoressa Saba è riuscita comunque a coinvolgerli.

–  Escludere i ragazzi dell’ultima classe dal teatro solo perché hanno la maturità, non mi sembrava giusto – ha sottolineato -. In un mondo di uscite, di viaggi, di balli, di dispersione totale, io ho offerto loro di fare teatro. L’ho aperto a tutti. Per quanto riguarda i ruoli da protagonisti, ai ragazzi delle terze. Ne ho tre che recitano. Poi per i “quadri”, le comparse, alle seconde. Sono piccoli ruoli. Non è stato facile lavorare. Quindi quarta, terza e seconda classe. Il criterio è stato la maturità; una maturità anche fisica. Per recitare è meglio avere, è una mia opinione, un piccolo uomo e una piccola donna piuttosto che il bambino di 14, 15 anni.

– Si è orientata quindi verso i ragazzi più grandi…

– Sì, proprio così – ha confermato -. Per esempio, la protagonista ha 19 anni. È una giovane adulta.

– Abbiamo avuto occasione di vedere la locandina. Si tratta di una “compagnia di teatro” numerosa…

– È così perché ho creato dei quadri – ha precisato per poi spiegare:

– I “quadri” sono una sorta di intermezzi. Sono una invenzione, se così la vogliamo chiamare, consone alla trama. Per esempio, c’è un personaggio… il francese… Per sedurre, pone l’accento sul fatto che Parigi è il regno della moda. Lo faccio sognare che è in una sfilata di moda… Coinvolgo 8 ragazzi, con la supervisione di altri due che hanno responsabilità circoscritte, come “tableau”… con la ricerca di musica adeguata alla trama. Se vogliamo è un genere un po’ mio. Non è un musical; non è neanche attualizzazione, perché non è mettere ragazzi in jeans e trasportare la scena alla nostra epoca. È creare un piccolo “quadro” in cui porto la sfilata di moda che evoca, faccio per dire, Christian Dior. La trasformo nel sogno del personaggio. Questi sono dei mini-piani; mini-laboratori.

Lo afferma con passione, con slancio. E d’altronde, senza passione non si intraprende un’avventura come quella iniziata mesi fa dalla professoressa Saba. I risultati li vedremo molto presto. La “prima”, infatti, è prevista per il 20 maggio.

–  I ragazzi sono trascinati, a volte sgridati – ci ha detto -. A questa età scoprono le loro attitudini. A volte, le confermano; altre, no. Scattano gli innamoramenti… Sono sempre lì con il telefono in mano – si è anche lamentata; consapevole, però, che gli studenti non ne hanno colpa -. La società, compresa la scuola, è diventata una grande offerta di occasioni, di progetti. Siamo in un mondo “à la carte”. È una società veloce, fatta di “prenotare e andare”… escursioni di un giorno, gite, gite in famiglia, gite tra amici… È difficile educare ad una disciplina che richiede scelte, rigore, tempo, concentrazione.

– Certo, le distrazioni sono tante… ogni epoca ha le sue… Forse, anzi, sicuramente i nostri giovani sono più sicuri e conoscono di più il mondo

– È vero – ha coinciso – Sanno andare per il mondo. Ho chiesto loro, cercatemi delle musiche… hanno fatto cose straordinarie. Voglio essere giusta – aggiunge senza celare l’ammirazione che professa per i propri alunni -. Sono contenta, veramente contenta di quel che mi hanno dato queste personcine, alcune quasi ancora adolescenti e tante completamente adolescenti. Mi hanno dato tutto quello che potevano. Lo dico come educatrice, perché vivo la scuola e lavoro nella scuola.

Dopo un attimo di riflessione, ha manifestato la sua preoccupazione:

– Dobbiamo stare molto attenti, viviamo in una società di cose piccole, rapide e superficiali. Il vero teatro, invece, nasce da un discorso profondo.

– La superficialità è in parte il prodotto di questa società del consumo…

– Per noi era il vestitino nuovo che ti durava uno o due anni – si è sfogata pacatamente -. Qui c’è un andare dietro alle mode, alle proposte… ora, poi, che ci stiamo liberando dalla pandemia… che non è stata ancora completamente sconfitta…

– No, però già sentirsi liberi dalle mascherine ci porta ad assumere un atteggiamento diverso.

– È molto difficile condurre verso la concentrazione, far comprendere – ha proseguito -. Ad esempio, stare sul palcoscenico, avere coscienza del proprio corpo, dirigersi ad un’utenza che in questo caso è un auditorio, è molto difficile. Quando propongo di cantare, di ballare si divertono, ma poi? Poi devono scappare perché hanno le lezioni di pianoforte, gli allenamenti di basket, hanno il calcio.

– I genitori cercano sempre di offrire svaghi ai propri figli. Attività, come la musica o lo sport, che li tengano occupati

– A mio avviso, bisognerebbe aiutarli a fare delle scelte – ha affermato -. Ci sono dei sì e ci sono dei no. Talvolta bisogna dire io faccio questo, ne avrò una grande soddisfazione ma sabato notte non potrò uscire. Coincide con lo studio. Per me è difficile lavorare con i ragazzi e insegnare loro un tipo di arte particolare; lo è perché non basta solo l’attitudine c’è anche la tecnica. Il pianoforte o il violino, per esempio, richiedono un apprendimento che si prolunga negli anni. Il teatro è un po’ ambiguo. È difficile insegnare che interpretare la poetica di un autore richiede molta serietà. Naturalmente, poi, c’è anche lo scopo di divertirci, ridere. È naturale che sia un’attività ludica. Per questo scelgo la commedia, per questo preferisco il teatro comico.

Una commedia dalla trama leggera

La Puerta del Sol è un viavai costante di turisti. C’è chi ha fretta e c’è chi passeggia; c’è chi vuole fotografare l’“Oso y el Madroño”, simbolo della Capitale, e chi vi passa accanto senza batter ciglio; c’è chi sorseggia una bibita e chi mangia con gusto e a piccoli morsi un “bocadillo de calamares”, di “iberico” o di “tortilla”. La conversazione si svolge in uno dei locali della piazza; un locale relativamente tranquillo, almeno fino a quando un gruppo di allegri e chiassosi turisti vi fanno “irruzione”.  D’altronde, siamo nel cuore della capitale, nel crocevia di turisti provenienti da ogni parte del mondo, potevamo pretendere altro?

– Come ha scelto autore e opera?

– Ci sono arrivata conoscendo bene il repertorio classico di Goldoni e di Molière – ha commentato -. Avendo già messo in scena, a suo tempo, “La Locandiera” a cui feci fare una tournée di otto tappe con i ragazzi, in Svizzera fino ad Orvieto, mi sono detta: “per iniziare scelgo una commedia dalla trama esile, senza profondità, con delle simmetrie; una trama leggera, leggera”. Non ho voluto confrontare i ragazzi con uno scavo di poetica, ma col vero lavoro di messa in scena. È stato il mio primo passo. Quella di Goldoni è una commedia che fa ridere. Abbiamo giocato sugli stereotipi, sui luoghi comuni per esempio su quelli che vedono l’italiano come un sentimentale geloso, lo spagnolo come una persona attaccata al prestigio dell’ancien regime, l’inglese come il ricco perché gli inglesi, si sa, hanno conquistato il mondo con le loro colonie, e il francese come il narcisista fissato della moda, superficiale e amante della dialettica. Ho costruito questi tipi, li ho accentuati, li ho scolpiti.

Ha sottolineato che ha voluto trasmettere il valore della collaborazione, insegnare l’importanza della co-creazione di un personaggio comico.

– A me piace il repertorio comico Goldoni, Molière, Eduardo De Filippo – ha confessato -. Pirandello è già diverso, lì c’è umorismo. Un altro anno mi piacerebbe fare proprio Pirandello. Sarò fortunata se i ragazzi non se ne andranno. Alcuni mi hanno già detto che purtroppo torneranno in Italia. Vorrei continuare il discorso teatrale con chi già sa come stare sulla scena; vorrei orientarmi maggiormente verso un teatro che sia più di parole.

– È un un’attività extra curricolare.

– Fa parte dei progetti della scuola – ci ha confermato -. Extracurricolare, assolutamente. Viene svolta al pomeriggio.

– Si può riuscire a fare in modo che il ragazzo si innamori di un progetto. Però, bisogna anche capire che si svolge in orari particolari. È necessario coinvolgere anche le famiglie. Poiché i cambiamenti potrebbero creare piccole complicazioni logistiche nell’’organizzazione familiare. Il genitore lavora…

–  Anche le famiglie hanno risposto positivamente – ha assicurato -. Non bisogna dimenticare l’organizzazione scolastica. Ci sono tanti altri progetti. Spesso si creano conflitti, latenti o espliciti. Ci sono, poi, progetti che si sovrappongono. C’è l’utilizzo dell’Aula Magna. Ho scoperto, perché lo ignoravo, che è l’unico grande bel teatro che abbiamo dell’italianità.

Confessa che le sarebbe piaciuto fare un discorso di più ampio respiro, inserirsi “nel tessuto sociale, artistico, culturale urbano ed uscire da una italianità che ha questa sovrastruttura solo istituzionale”. Insomma, proporsi anche fuori.

– Non voglio peccare d’immodestia – ha asserito -, ma piuttosto essere coraggiosa. Qual è il problema su cui ho dovuto riflettere… non si parla italiano.

Ha ammesso che le due lingue sono assai simili e riconosciuto che, anche così, non si può proporre “una pièce in italiano, del 1700, in cui Arlecchino parla in veneto, un veneto regionale non strettamente dialettale”

– Non puoi dire a una persona che sta imparando l’italiano – ha commentato -, vieni tanto capisci lo stesso. Chi non parla italiano, non puoi obbligarlo a stare due ore a sentire le battute in Veneto, o nell’italiano del 1700. Ed allora, a chi mi propongo?

Ci dice che, avendo una formazione teatrale, esperienza fatta in Svizzera e un dottorato la cui tesi si centra su Pirandello e la sua opera, avrebbe desiderio realizzare qualcosa di più impegnativo, coinvolgendo ragazzi adulti. Insomma, come lei stessa afferma “provare ad aprire un discorso al di là delle categorie”. Ricorda quando in Svizzera mise in scena, tra l’altro, “Il Berretto a sonagli”. Sorride.

– Si presentò nel 1995 – ha fatto memoria con nostalgia -. Era un’altra epoca. Non esisteva la tecnologia odierna. Si era più inibiti nelle forme. Non c’era la facilità di trovare un amico esperto che ti fornisse le musiche, un altro che facesse le riprese. Allora era tutto diverso. Fu clamoroso. Gli interpreti erano ragazzi di 16, 17 anni. Ci fu anche un mio monologo come cornice, con un ragazzo che mi faceva da spalla. Lì si è aperto tutto…

L’orgoglio per i suoi ragazzi

Le sue parole sono una valanga di entusiasmo, di ammirazione e orgoglio per i suoi ragazzi, di passione. Non manca, peró, la critica velata ad un modo di fare cultura all’estero, “molto attaccato ai luoghi comuni e ad un regionalismo a volte arretrato”. E il desiderio di aprire un discorso più professionale e consone con la realtà delle nuove generazioni

– Più professionale e anche più profondo come poetica – ci ha detto -. Sono stata a Roma, otto anni. Ho insegnato nel “Convitto”, tra le scuole più grandi. Dopo la Svizzera ho conosciuto la capitale. Questa italianità che non sa valorizzarsi, spendersi, proporsi …  Anche i soldi – ci ha detto – fanno parte della nostra società.

– La realtà delle nostre comunità è differente da Paese a Paese. In Spagna, ad esempio, tende a mimetizzarsi e, poi, ci sono tanti giovani impegnati a farsi strada, a trovare lavoro e, quindi, con poco tempo per altro.

– Mi hanno detto che il quartiere intorno alla scuola è pieno di italiani – ha commentato riferendosi a quella che è considerata la “little Italy madrileña” -. Io lo avrei tappezzato di locandine. A quel punto avrei detto, se anziché una serata di 200 persone, se ne organizzassero varie? Che gli italiani di Madrid vedano cosa siamo capaci di fare. Si sarebbe valorizzato il lavoro, l’entusiasmo, l’impegno dei loro figli. Io sto portando in scena i loro figli, non i miei. Certo, anche me stessa, ma attraverso i loro figli. Questo è il cammino se veramente si vuole fare un discorso di solidarietà e Intercultura.  Intercultura – ha sottolineato -, non giustapposizione di cultura. Vera integrazione, vera cooperazione. Ho giocato molto col bilinguismo. Mi piace giocare sullo spagnolo e sull’italiano. Stiamo educando al bilinguismo. Quindi, il teatro è anche il paradigma di una condizione; è il paradigma di valorizzazione, ricchezza, compreso il soldino. Ci dovrebbero essere serate per fare uscire dei soldini per i ragazzi, in qualche modo tu lavori e ti paghi il vestito.

La professoressa Saba valorizza il lavoro svolto dai suoi alunni. Ha tenuto a sottolineare che la locandina, è stata “creata con le ragazze”. Ci dice che si sarebbe potuto fare di meglio, forse un qualcosa di molto più artistico. Le pare “un po’ semplice con il gattino”, anche se, facciamo notare, “nella sua semplicità risiede l’eleganza”

– È stata curata nel carattere, nei colori, nella scelta del nome – ha proseguito -. C’è una strizzatina d’occhio a “los gatos”, agli abitanti di Madrid che sono, appunto, chiamati “los gatos”.

Si vanta di tutti i ragazzi della sua “compagnia di teatro”, capaci di ricostruire una gondola in legno e di dipingerla, di reperire i materiali a buon prezzo, di imparare.

– Le ragazze del suono e delle luci – ci ha detto – fanno un lavoro straordinario. Non hanno studiato la tecnica della luce e del suono. Sono ragazze normali, che siedono quotidianamente dietro ai banchi. Ma hanno serietà… Per me è un’esperienza straordinaria. Lo dico nel vero senso etimologico della parola: extra-ordinaria. Il prossimo anno devo trarre insegnamento da questo. Devo rimisurarmi, programmare. Ho fatto anch’io errori.

– Non commette errori chi non fa nulla – abbiamo fatto notare -. La direzione della scuola come ha  accolto il progetto e come lo ha accompagnato?

– Il preside ha avuto immediatamente fiducia; una fiducia, credo, guadagnata con la serietà della mia persona, con l’entusiasmo e con la mia promessa che avrei portato a termine ciò che proponevo. Mi sono impegnata. Da parte del preside, della direzione ho ricevuto tanta fiducia.

Ci confessa che avrebbe voluto che ci fossero state più serate, più presentazioni, sia come premio allo sforzo dei giovani sia per giustificare la spesa dei costumi, che si sono accollata i genitori

– Ho ricevuto la solita risposta italiana: “di solito si fa una volta” – ha commentato con amarezza -. Ma noi non abbiamo allestito un’opera di Goldoni per presentarla una sola volta. Certo, neanche per una stagione teatrale; ma, insisto, lo sforzo dei ragazzi non vale solo una o due presentazioni. Per esempio, il taglio del copione. L’ho fatto con un’alunna che, poi, mi ha detto: “è stata una delle più belle esperienze della mia vita, professoressa”. Posso fare nome e cognome: Elena Di Sotto la protagonista. Ha capito come si “taglia” un copione, come si possono eliminare personaggi e compattare; compattare le battute senza inventare. Non è solo tagliare ma anche affrontare le problematiche della messa in scena. Ho tagliato la sorella di Madama Rosaura. Dunque, anche tutte le battute e le situazioni che evocano quel personaggio. È un’operazione di regia, un’esperienza.

– I ragazzi alla fine sono entusiasti di questa esperienza teatrale, della loro “compagnia teatrale”…

– Si, si, assolutamente… – ha assicurato con un ampio sorriso –. Il loro sforzo sarà anche premiato da un credito scolastico. Avranno un attestato… quel foglio che dimostra che si è impegnato in un settore integrabile con l’apprendimento. Un’insegnante di italiano, mi ha detto che era contentissima, perché Goldoni fa parte del suo programma di studio…

A questo punto, non ci resta che la menzione di tutti i protagonisti della “compagnia di Teatro” che si presenterà con “La Vedova Scaltra” di Carlo Goldoni:

 

Regia: Anna Maria Saba;

Personaggi e interpreti: Rosaura (Elena Di Sotto), Conte di Bosco Nero (Francesco D’Auria), Milord Runebif (Eric Frick), Monsieur Le Blau (Alessandro Scalone), Don Alvaro De Castilla (Diego Rivera), Marionette (Caroline Recaman), Arlecchino (Matilde Malvagna).

 

Quadro flamenco:

Coreografia: Isabel González

Ballerine: Isabel González, Martina Greppi

Gitana: Sofia  Marafioti

Musicisti: Martina Yañez, Julio Aparicio, Lorenzo Pucciarelli

 Palmeros: Edoardo Armari, Andrea Chiriatti

 

Quadro sfilata di moda

Styling: Martina López

Supervisione: Claudia Bescos, Camilla D’Angelo;

Modelle: Ada Marroni, Beatrice Ricci, Claudia Bescos, Celia Gemmel, Sara Versace, Naira Colagreco, Daniela Chiriatti, Camilla D’Anelo.

 

Quadro Arlecchino e maschere

Maschere: Matilde Malvagna, Caroline Recaman, Daniela Del Varo

Pernonaggi in maschere: comparse quadri precedenti

Gondoliere: Lorenzo Pucciarelli

 

Scenografia: Claudia Bescos, Mario Padovano, Marco Spinillo

Tecnici delle luci e del suono: Henar Duque, Marina Antón

Maquillage: Martina López, Cristina Pellegrino, Irene Nuñez

Fotografia: Tommaso Armari, Germana Palella

Organizzazione Pubblicità: Martina López, Edoardo Armari

Grafica locandina: Matilde Malvagna

 

Bafile Mauro

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