Guerra e prezzi affossano la produzione, ombre sul Pil

Occupazione: un operaio al lavore con una saldatura e scintille
Un operaio al lavoro con una saldatura e scintille.

ROMA. – Guerra in Ucraina e boom dei prezzi delle materie prime: un binomio letale che manda a picco la produzione industriale in Italia, gettando ombre anche sulla crescita del Paese nel secondo trimestre. A suonare l’allarme sono gli industriali, con il Centro studi di Confindustria che stima un crollo della produzione del 2% a marzo e del 2,5% ad aprile, dopo il rimbalzo di febbraio (+4%) che ha seguito la caduta di gennaio (-3,4%) e dicembre (-1%).

“Le indagini sul sentiment imprenditoriale e le ridimensionate dinamiche di ordini e attese delle imprese non lasciano intravedere miglioramenti significativi nel breve termine”, scandisce il Csc, facendo notare che ad aprile il prezzo medio del gas naturale era “il 698% più alto” rispetto a prima dello scoppio della pandemia mentre quello del Brent, il petrolio del Mare del Nord, “il 56% in più”.

Quindi i prezzi “ancora elevati” delle commodity “frenano l’attività produttiva lungo tutte le filiere”, avverte il Csc. Per cui nel primo trimestre 2022 lo stesso Csc stima una flessione della produzione industriale di -1,6% rispetto al quarto trimestre del 2021 e l’ulteriore calo della produzione ad aprile porta la “variazione acquisita per il secondo trimestre a -2,5%”, spiega Confindustria, “pregiudicando” la dinamica del Pil italiano nel secondo trimestre.

Nel primo trimestre il Pil ha visto una contrazione dello 0,2%, segnando il primo dato negativo dopo quattro trimestri consecutivi di crescita nel 2021 e registrando una delle peggiori performance tra i grandi Paesi europei: la Germania ha chiuso infatti a +0,2%, la Francia a crescita zero, la Spagna a +0,3% mentre la media della zona euro si è attestata a +0,2%.

Secondo il Fondo Monetario Internazionale proprio l’Italia, insieme alla Germania, rischiano a causa della guerra in Ucraina due trimestri consecutivi di crescita negativa e quindi una recessione. Una eventualità, questa, da “evitare ad ogni costo”, ha detto nei giorni scorsi il ministro dell’Economia Daniele Franco. In questo contesto di grande difficoltà ed incertezza, Confindustria suggerisce un robusto taglio del cuneo contributivo, pari a 16 miliardi di euro. Il governo però resta sulla difensiva.

“Le condizioni finanziarie per una riduzione massiccia del cuneo fiscale non ci sono”, afferma il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, a margine del festival CittaImpresa in corso a Vicenza. “Penso che sarebbe utile e interessante ragionare su un patto pluriennale, che veda un legame tra lotta all’evasione fiscale contributiva e una progressiva diminuzione del cuneo”, spiega il ministro, mettendo in chiaro che “abbassare di 10 punti” il cuneo fiscale “in una botta sola” è “abbastanza improponibile”.

Nella sua indagine Confindustria sottolinea che continuano a pesare i fattori che “ostacolavano l’attività produttiva” già prima della guerra, ossia i rincari delle materie prime e la scarsità di materiali, che nel primo trimestre si sono confermati “molto rilevanti”.

I giudizi sui principali ostacoli alle esportazioni “sono ancora negativi”, spiega il Csc. La percentuale di imprese manifatturiere che hanno segnalato difficoltà in termini di costi e prezzi più elevati e tempi di consegna più lunghi “è rimasta elevata”. Tali fattori hanno quindi “contribuito alla contrazione della fiducia” delle imprese.

A questi fenomeni si è aggiunta “una sensibile diminuzione” nei giudizi e nelle attese sugli ordini e nei giudizi e nelle attese sui livelli di produzione delle imprese manifatturiere, il cui “valore non toccava livelli così bassi da marzo dello scorso anno”, sottolinea Confindustria. L’indice delle attese sull’economia italiana ha registrato “un crollo” da +0,6 a inizio anno fino a – 34,8 di aprile, valore comparabile a quello di dicembre 2020, fanno infine presente gli industriali.

(di Alfonso Abagnale/ANSA)