Faro Camere su caporalato digitale, è sfruttamento

Smart working, tavolo da lavoro di gruppo a casa
Tavolo da lavoro di gruppo a casa, modo "smart working".

ROMA.  – Una piaga sociale, ma anche un (grosso) onere economico: è così che possono essere considerati gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali che, secondo alcune stime, inciderebbero sul nostro Prodotto interno lordo in maniera rilevante, “forti” di una percentuale che va dal 3% ad oltre il 6%.

Al tempo stesso, la transizione digitale che stiamo attraversando porta con sé un “lato oscuro” nel versante occupazionale, visto che si sta caratterizzando per un impiego “sempre più massiccio” di strumenti innovativi, da cui è affiorato il fenomeno del “caporalato digitale”, nel quale coloro che esercitano mansioni nella cornice della cosiddetta ‘gig economy’ (l’economia dei “lavoretti”) hanno preso, oramai, il posto dei braccianti agricoli disseminati nelle campagne del Belpaese.

É la fotografia scattata dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, sullo sfruttamento e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro pubblici e privati. In un contesto di chiaro e scuro. Un segnale positivo arriva infatti dai dati dell’occupazione di inizio 2022, che vedono una prevalenza delle assunzioni stabili.

Nel mese di gennaio ha segnalato l’Osservatorio sul precariato dell’Inps, le assunzioni attivate da datori di lavoro privati sono state 663.000 (precisamente 663.249), in forte crescita rispetto alle 461.000 dello stesso mese dell’anno scorso, a fronte di 499.339 cessazioni, anche queste in ascesa, al confronto con quanto rilevato nello stesso mese dell’anno precedente (+51%), con un saldo positivo di 163.910 rapporti di lavoro.

E la variazione netta per i contratti a tempo indeterminato risulta maggiore e pari a +104.725, per i  contratti a termine +27.965. Saldo negativo, invece, per i contratti stagionali (-8.017) ed intermittenti (-4.589).

Ma il rapporto della Commissione parlamentare d’inchiesta focalizza l’attenzione sulle ombre sul fronte del lavoro, che anche in questi giorni hanno caratterizzato le cronache dei giornali. É il “peso” degli infortuni sul lavoro, nel quale le vittime “sono, la maggior parte delle volte, gli anelli deboli della catena”. “Se a subire quasi sempre gli eventi lesivi sono gli operatori della fascia più bassa, evidentemente – è stato puntualizzato – vi è un sistema dell’impresa che spesso, soprattutto in alcune realtà medie, o piccole, non presta la dovuta attenzione agli obblighi della sicurezza”, visto che “non si muore soltanto di cadute dall’alto, o per schiacciamento, ma anche per la cattiva organizzazione”.

Al tempo stesso, per il presidente dell’organismo parlamentare Gianclaudio Bressa, se nei comparti del corrierato, dei trasporti a lunga percorrenza e del magazzino si ravvisano “segnali di grave sfruttamento”, non va sottovalutato il “caporalato digitale”, laddove, ha spiegato (preannunciando proposte normative in tempi brevi da sottoporre ai colleghi della Commissione Lavoro di palazzo Madama), “il pericolo più profondo è che l’algoritmo e, più in generale, l’intelligenza artificiale possano diventare strumenti senza controllo”.

Nel frattempo, ha fatto sapere il ministro del Lavoro Andrea Orlando, stanno emergendo dati, secondo i quali “circa 4,5 milioni” di occupati continueranno in modo stabile ad operare da remoto, “anche dopo la fine della pandemia” da Covid-19. In occasione dell’insediamento dell’Osservatorio nazionale bilaterale sul lavoro agile, il titolare del dicastero di via Veneto ha da un lato posto l’accento sui benefici che lo smart working reca con sé, sostenendo che “può contribuire a migliorare le condizioni di vita del lavoratore, ridurre l’inquinamento, la congestione dei centri urbani e contribuiré al risparmio energetico”.

Nel contempo, tuttavia, secondo il ministro “bisogna fare attenzione che questa modalità di lavoro non determini una dilatazione degli orari” di attività, nonché “una condizione di ‘isolamento’ dei lavoratori, o uno svuotamento’ di alcuni centri urbani”.

(di Simona D’Alessio/ANSA).

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