Draghi a prova spese militari. M5s: “No crisi, ma non forzi la mano”

Il Premier Mario Draghi nel vertice con gli altri leader Ue in corso a Bruxelles.
Il Premier Mario Draghi nel vertice con gli altri leader Ue in corso a Bruxelles. (Filippo Attili - Ufficio Stampa Presidenza del Consiglio)

ROMA. – Le spese per la difesa non erano nel patto di governo, quindi bisogna parlarne, nella maggioranza e con il governo, per trovare una “soluzione di buon senso” e giusta nei tempi. Giuseppe Conte in tv chiarisce che i 5 Stelle non vogliono in alcun modo la “crisi” ma è contrario a un aumento “massiccio” dei fondi bellici mentre il Paese è di fronte ad ben altre emergenze, economiche e sociali.

Il governo, è l’avvertimento, non deve “forzare la mano” puntando su spese “straordinarie” per la difesa che sottrarrebbero inevitabilmente fondi per altri capitoli fondamentali, come gli aiuti a famiglie e imprese contro il caro-bollette. La sua posizione lo espone alle critiche degli alleati e anche se l’esecutivo non rischia quella che si apre sarà un’altra settimana di passione per la tenuta della maggioranza.

Il messaggio mandato da Mario Draghi è chiaro: l’Italia terrà fede all’impegno preso con la Nato di portare al 2% le spese militari entro il 2024, con un percorso che dovrebbe essere ribadito nel Def, che dovrebbe arrivare sul tavolo del Consiglio dei ministri in settimana. Nel frattempo a Palazzo Chigi si lavora sul fronte diplomatico per preparare la telefonata tra il presidente del Consiglio e Vladimir Putin, al momento non ancora fissata.

L’Italia vuole “la pace”, ha ripetuto più volte l’ex banchiere, da ultimo a Bruxelles, e vuole giocare un ruolo al tavolo della pace, quando il capo del Cremlino “la vorrà saremo lì”, ha detto Draghi a Bruxelles, prima di tornare a occuparsi delle fibrillazioni interne ai partiti che lo sostengono.

La maggioranza, a dire il vero, ha già impegnato l’esecutivo, con un voto compatto alla Camera su un ordine del giorno legato al decreto che autorizza l’invio delle armi all’Ucraina. Ora però la questione si ripropone al Senato, dove le file dei pacifisti potrebbero essere più numerose della sola opposizione di Alternativa, a prescindere dalle scelte dei 5S.

Il leader M5S – alle prese con il voto interno per la conferma della presidenza – annuncia che ne parlerà con il premier, possibilmente prima di mercoledì quando il decreto Ucraina arriverà in Aula al Senato. Chiede che la posizione del partito “di maggioranza relativa” venga ascoltato senza “forzare la mano”. I 5S, assicura, non mettono in discussione la collocazione euroatlantica dell’Italia né che vadano “rispettati gli accordi Nato presi nel 2014”. Tantomeno vogliono “una crisi di governo”.

La richiesta, in sostanza, è di valutare tempi più dilazionati dei prossimi due anni per raggiungere il 2%, “la tempistica immaginata otto anni fa – dice Conte – non può essere un dogma indiscutibile”. Nel mezzo c’è stata la pandemia e ora la crisi energetica e la guerra, non si possono “distrarre” miliardi in questo momento da “altre spese necessarie per i cittadini”.

Il governo comunque, osserva dal Pd Debora Serracchiani, “non rischia, non è il momento”. S tratta di “una piccola miseria politica” da parte di chi “è in cerca di leadership”, va all’attacco la presidente di Italia Viva Teresa Bellanova, mentre la Lega, l’altro partito sotto osservazione nella maggioranza, conferma per voce del presidente del gruppo Massimiliano Romeo, che se si arriverà a un voto sul 2% il partito seguirà le indicazioni del governo e farà “come alla Camera”.

Intanto oggi a Palazzo Madama il ministro Federico D’Incà e il sottosegretario Vincenzo Amendola incontreranno i capigruppo delle commissioni Esteri e Difesa per cercare di uscire dall’impasse. Fratelli d’Italia, infatti, ha presentato un odg analogo a quello della Camera che potrebbe portare allo scoperto le divisioni dentro la maggioranza e all’interno degli stessi 5 Stelle.

Le opzioni restano quelle della fiducia, che farebbe automaticamente decadere emendamenti e ordini del giorno, ma a Montecitorio non è stata chiesta. Oppure un odg di maggioranza, complesso da scrivere ma che consentirebbe di tenere insieme le varie sensibilità. O ancora il parere favorevole alla proposta di Fratelli d’Italia che da regolamento, è sufficiente per considerare il documento approvato salvo che i proponenti chiedano che sia messo ai voti (cosa che Fdi non sarebbe intenzionata a fare).

(di Silvia Gasparetto/ANSA)

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