A Przemysl: brandine sul palco, il teatro diventa un rifugio

Posti letto per i rifugiati ucraini.
Posti letto per i rifugiati ucraini. (Frame video ANSA)

PRZEMYSL (CONFINE POLONIA-UCRAINA). – Sul palco non ci sono gli attori ma le brandine dei profughi, la commedia degli equivoci di Nikolaj Gogol lascia il posto al dramma della guerra. “Narodnyj Dim’ significa ‘Casa degli Ucraini’ ed è il nome del palazzo di Przemysl che da oltre un secolo è terra ucraina in terra polacca: la loro casa, appunto, il centro culturale di una comunità che in questa parte del sud del paese c’è sempre stata.

Dal giorno in cui i carri armati di Putin sono entrati in Ucraina anche Narodnyj Dim è diventata quello in cui si è trasformato ogni spazio utilizzabile di questa cittadina di 60mila abitanti a dieci chilometri dal confine ucraino: un centro per accogliere chi scappa dalle bombe. Con una differenza fondamentale rispetto a tutti gli altri, però: gli ospiti sono solo sessanta, il riscaldamento funziona, c’è una vera cucina e chi si occupa di loro riesce a tenere puliti i bagni.

Servizi a quattro stelle rispetto a quelli nei centri commerciali alla periferia della città dove donne e bambini stanno ammassati l’uno sull’altro in condizioni igieniche e sanitarie che, nonostante gli sforzi dei volontari, sono al limite del sopportabile e spesso anche oltre. Bagni e docce che si contano sulle dita di due mani per migliaia di persone, nessuna misura di prevenzione contro il Covid, serio rischio che possano esplodere epidemie se non si allenterà la pressione sulla città.

Ma nonostante ciò Katarzyna Komar Macynski, non è contenta. E’ la responsabile dei volontari dell’associazione e non si ferma un attimo da giorni. “Abbiamo 500 volontari e dal 24 febbraio abbiamo accolto 800 persone. I rifugiati arrivano alla stazione da tutta l’Ucraina e poi qui. Restano qualche giorno e poi vengono inviati in altre città, perché tenerli tutti qui è impossibile – quasi si rammarica – Quello che facciamo non è abbastanza e non riusciamo ad aiutare tutti quelli che hanno bisogno”.

A guardarsi intorno quello che traspare è che chi è accolto in questa casa è fortunato. Si cammina sul parquet, dalle grandi finestre entra tutta la luce possibile, per i piccoli c’è anche la ‘Sala Zabaw’, la stanza dei giochi. E per loro, dice ancora Katarzyna, “tra qualche giorno faremo partire un programma specifico che prevede giochi, animazione e anche un po’ di scuola”.

Il palazzo risale al 1904 e già allora ospitava un teatro, un cinema, un’associazione sportiva e un centro di ricerca. Quando, nel 1947 gli ucraini furono cacciati dalla Polonia orientale, la casa rimase chiusa pe 9 anni e nel 1956 divenne la sede dell’Associazione. Nel 2011 l’edificio è stato venduto agli ucraini per una cifra simbolica, l’1% dell’intero valore. “E’ veramente difficile ascoltare le loro storie – è ancora Katarzyna a parlare – hanno fatto un viaggio lungo e difficile, duro e pericoloso, soprattutto per i più piccoli.

Sono veramente stanchi e impauriti, hanno una condizione psicologica molto pesante”. Ha ragione. Basta entrare nella grande sala del teatro e parlare con alcuni di loro. Roman ha 13 anni, se ne sta seduto su un letto a ridosso del muro sotto la galleria e guarda il palco. “Vengo da Kiev, ci ho messo due giorni di treno per arrivare a Leopoli e altri due giorni per passare il confine. Quando ero lì passavo le mie giornate nel sottopasso con tante persone”. A Kiev ha lasciato il papà.

“Non lo sento da due giorni. Quando ci siamo sentiti mi ha chiesto solo cosa facevo qui e come stavo, non vuole parlami della guerra, non vuole raccontarmi quello che fa”. Ma come stati tu, Roman? “È una situazione orribile, la gente muore. C’è un popolo che vuole essere buono e un altro che sta invadendo. È semplice”. E cosa vorresti? “Io? Io voglio essere felice, voglio vedere i miei amici, tornare a scuola, studiare. E lo voglio fare a casa mia. I bambini vedono la guerra dalle finestre e io invece voglio la pace. Voglio tornare a casa mia prima possibile”.

Alona è seduta poco distante da lui, ha 28 anni. “Guarda, la mia casa è tutta qui” dice e poi indica un trolley, 4 zainetti e due pelouche per la bambina. “Un giorno hai una vita e il giorno dopo non hai più nulla. E’ tutto assurdo, inconcepibile”.

(dell’inviato Matteo Guidelli/ANSA)

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