Draghi sente Putin: “Serve una de-escalation in Ucraina”

Il premier Mario Draghi ed il presidente russo Vladimir Putin in una ricostruzione grafica. (ANSA)

ROMA. –   Gli Usa “ignorano questioni fondamentali” poste dalla Russia in materia di sicurezza e usano l’Ucraina come “uno strumento”, mentre la Nato ha “imbrogliato” Mosca con la sua espansione verso est.

Alla fine di una febbrile giornata di trattative che ha visto anche un colloquio telefonico tra Mario Draghi e Vladimir Putin – nel quale il presidente del Consiglio ha sottolineato l’importanza di adoperarsi per una de-escalation delle tensioni – le sferzanti parole del capo del Cremlino sembrano gelare le speranze di una soluzione pacifica della crisi.

Ma contemporaneamente i ministri degli Esteri di Mosca e Washington, che si sono appena sentiti, accennano alla volontà di continuare a trattare, facendo capire che il percorso della diplomazia sarà ancora lungo, e probabilmente accompagnato da non pochi tatticismi.

Lo stesso Putin, del resto, parlando in conferenza stampa dopo avere incontrato il primo ministro ungherese Viktor Orban, dice di sperare che i colloqui possano continuare e si spinge a dire che “una soluzione può essere trovata, anche se sarà dura”.

La stessa altalena di giudizi fa seguito al coloquio telefonico tra i capi delle due diplomazie, Antony Blinken e Serghei Lavrov. Il segretario di Stato ha chiesto nuevamente alla Russia di ritirare le sue truppe dalle vicinanze dei confini con l’Ucraina e di “perseguire la via diplomatica”.

Washington fa trapelare la notizia che il ministro degli Esteri russo non ha dato segnali che questa sia la scelta. Ma poi ancora Blinken afferma “la disponibilità degli Usa, bilateralmente e insieme agli alleati e partner, a continuare uno scambio sostanziale con la Russia”. Gli avversari sembrano dunque ancora quasi alle schermaglie iniziali, che rischiano però di provocare anche qualche equivoco.

Lavrov, per esempio, ha smentito la notizia riferita da un alto responsabile statunitense al Washington Post secondo il quale Mosca aveva già consegnato agli Usa la reazione scritta ai documenti consegnati la settimana scorsa in cui Usa e Nato rispondevano alle richieste russe sulle garanzie di sicurezza.

Le trattative per scongiurare un precipitare della crisi coinvolgono ormai in prima persona i capi di governo di diversi Paesi europei. Putin ha detto di non escludere una missione a Mosca del presidente francese Emmanuel Macron, con cui ha avuto due colloqui telefonici nell’arco di una settimana. Il premier britannico Boris Johnson è arrivato a Kiev portando aiuti per 105 milioni di euro, ma negli ultimi due giorni non è riuscito ad avere la conversazione telefonica che auspicava con il capo del Cremlino.

A parlare con Putin è stato invece Draghi che, fa sapere Palazzo Chigi, ha sottolineato l’importanza di adoperarsi per una de-escalation delle tensioni. Durante il colloquio sono stati concordati un impegno comune per una soluzione “sostenibile e durevole” della crisi e l’esigenza di ricostruire un clima di fiducia. Il presidente del Consiglio, si apprende, avrebbe espresso la crescente preoccupazione per la situazione e ribadito come la Nato non possa rinunciare ai suoi principi sulle alleanze.

Da parte sua, ha detto il Cremlino, Putin ha confermato l’intenzione di Mosca di “continuare a sostenere stabili forniture di gas all’Italia”. Ancora la questione energetica, dunque, che si ripropone come centro nevralgico della crisi. La stessa che ha indotto finora la Germania a tenere un atteggiamento prudente nei confronti di Mosca. La stessa che ha portato Orban al Cremlino (in “missione di pace”, dice lui) per ottenere per l’Ungheria un aumento delle forniture russe, già garantite in base a contratti con Gazprom fino al 2036, ha assicurato Putin.

Fumo negli occhi per il presidente Usa Joe Biden, che sta cercando di convincere gli europei di poter sostituire l’offerta russa con il gas liquefatto in arrivo dall’America e dal Qatar. Ma il ministro dell’Energia qatarino, Saad al-Kaabi, ha avvertito che il suo Paese è già alla massima capacità di estrazione, e che se i rubinetti russi fossero chiusi, per far fronte ai suoi bisogni l’Europa avrebbe bisogno di “uno sforzo collettivo da più parti”. Il gas di Doha, dunque, non basterebbe.

(di Alberto Zanconato/ANSA).

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