LONDRA. – Aveva giurato vendetta, ora è deciso a mantenere la promessa. Dominic “Dom” Cummings, lo stravagante, controverso, sulfureo guru del referendum pro Brexit ed ex Rasputin dell’entourage johnsoniano messo in malo modo alla porta poco più di anno fa, torna in scena per cercare di assestare il colpo di grazia al suo vecchio boss nel momento più difficile: accusando apertamente Boris Johnson d’aver mentito alla Camera dei Comuni sullo scandalo Partygate che ne minaccia la poltrona di primo ministro; e di poterlo testimoniare direttamente.
Un’accusa che BoJo e i suoi respingono strenuamente. Ma che getta ulteriore benzina sul fuoco della polemica, della furia popolare, delle denunce delle opposizioni e dei crescenti venti di rivolta nella medesima maggioranza Tory innescato dalle rivelazioni a scoppio ritardato sui ritrovi organizzati a più riprese fra la primavera del 2020 e il 2021 a Downing Street in barba alle cautele anti-Covid che proprio il governo aveva imposto in quei mesi a milioni di britannici.
“É falso dire che il primo ministro fosse stato avvertito in anticipo” sulla natura irregolare del meeting con consumo d’alcolici svoltosi il 20 maggio 2020 (quando gran parte delle restrizioni del lockdown era ancora in vigore) nel giardino della sua residenza alla presenza d’una trentina di collaboratori, ha affermato seccamente un portavoce in risposta all’ennesimo affondo di Cummings.
Parole che il premier ha poi riecheggiato con la propria faccia, assediato dai giornalisti durante un evento pubblico: ribadendo contrito “le scuse” al Paese già fatte in Parlamento per quel particolare incontro, a cui egli ha dovuto ammettere d’essere intervenuto per 25 minuti in prima persona; estendendole in tono mortificato alla Regina per i successivi festini organizzati in sua assenza dallo staff addirittura alla vigilia del funerale distanziato del príncipe Filippo; ammettendo “errori di giudizio”; ma insistendo, almeno riguardo alla bicchierata del maggio 2020, di aver inicialmente creduto si trattasse di “una riunione di lavoro”, seppur conviviale.
Bugie plateali, viceversa, nella versione dell’avvelenato ex consigliere ed eminenza grigia, il quale sul suo blog ha rilanciato il sospetto che in realtà Boris sapesse tutto. Non senza attribuirsi il merito di essere stato lui ad ammonire – a voce – che quella riunione avrebbe “potuto essere” contro le regole, incassando una scrollata di spalle.
Dom ha quindi aggiunto di essere pronto a confermare sotto giuramento il proprio racconto a Sue Gray, l’alta funzionaria incaricata di svolgere un’inchiesta interna indipendente sull’accaduto: inchiesta, le cui conclusioni sono previste a giorni, ormai decisiva per il sempre più traballante destino immediato d’un primo ministro di cui la leadership laburista continua intanto a invocare l’uscita di scena.
Il tentativo di BoJo di cavarsela con una raffica d’annunci popolari fra l’elettorato e il suo gruppo parlamentare (dalla revoca delle misure anti-Covid resa possibile dal superamento del picco di contagi Omicron nel Regno, all’impiego della Royal Navy nella Manica contro l’immigrazione illegale, al congelamento del canone all’odiata Bbc) potrebbe in questo scenario non bastare a salvarlo. Specie se i sondaggi su credibilità e consenso continuassero a precipitare.
Mentre la fronda dei deputati di maggioranza inclini a sfiduciarlo s’ingrossa, e pure fra ministri si moltiplicano i distinguo. Con il fedelissimo vicepremier Dominic Raab pronto a bollare come “assurdità” le contestazioni di Cummings, non senza tuttavia riconoscere un obbligo “naturale” di dimissioni laddove il sospetto d’aver mentito in aula fosse certificato.
E con il rampante titolare del Tesoro Rishi Sunak – giovane brexiteer d’origini indiane, meno carismatico di Boris ma anche meno eccentrico e più gradito alla City – sempre più ambiguo nel ,sostegno a un capo di governo di cui potrebbe provare presto a prendere il posto dopo essere stato promosso repentinamente da ministro junior a cancelliere dello Scacchiere appena 2 anni fa proprio grazie a Dom: tanto da lasciare intendere, nella prima, tardiva dichiarazione in favor di telecamere sul Partygate, di “credere alle parole” di Johnson come atto dovuto al momento. In attesa che “Sue Gray concluda la sua investigazione”.
(di Alessandro Logroscino/ANSA).