Allarme prezzi e Omicron: Fed e Bce alle strette

Veduta della sede della Bce a Francoforte..
La sede della Bce a Francoforte.. EPA/ARMANDO BABANI

ROMA.  – Un 2022 nel segno della normalizzazione della politica monetaria: la Federal Reserve con il pilota automatico intenta a riassorbire gli acquisti di debito e alzare gradualmente i tassi, la Bce più prudente.

Ma anche un anno che potrebbe riservare sorprese, che si apre denso di incognite e variabili: i prezzi innanzitutto, con l’inflazione ormai a livelli di allarme negli Stati Uniti e in gran parte dell’Europa, l’impatto della variante Omicron e le strozzature al commercio globale. Che fanno apparire non scontato il “divorzio” fra le due grandi banche centrali a fronte di economie in “disaccoppiamento”.

Se si lascia da parte la Bank of England che ha raggiunto la schiera di banche centrali ‘minori’ che hanno già alzato i tassi, la Fed appare la più decisa sulla strada di un graduale “lift-off” sui tassi e di un tapering. Ha appena raddoppiato la velocità con cui ridurrà gli acquisti di bond, e i segnali sono che alzerà i tassi tre volte il prossimo anno. Ma c’è chi invita a guardare oltre le apparenze. Narayana Kocherlakota, ex presidente della Fed di Minneapolis, ha fatto notare che, rispetto a un anno fa, ora “la Fed punta a un’inflazione considerevolmente più alta (in calo dal 4% al 2,3% nei prossimi due anni, ndr), e una disoccupazione più bassa (sotto il 4%). E’ una svolta decisamente da colomba, non da falco”.

I rischi principali, per l’istituto guidato da Jay Powell, secondo Intesa SanPaolo sono due. “Il primo rischio è collegato ai possibili errori della Fed nella definizione del sentiero di politica monetaria, con una rimozione troppo rapida e/o troppo ampia dello stimolo. Il secondo rischio è collegato ancora all’incertezza sugli sviluppi della pandemia e sui loro effetti, anche se appare più contenuto rispetto a quanto visto nel 2020-21”.

La Bce, dal canto suo, è di fronte a un dilemma. La corsa dei prezzi fino al 5% dovrebbe frenare nel corso del 2022, perlomeno col venire meno dell’effetto-base che ha contribuito a gonfiare l’inflazione nel 2021. Ma sul petrolio, sulla corsa dei prezzi energetici, sulla pandemia e quindi a ricasco sui maxi-rincari dei noli di container, c’è un bel punto interrogativo. In Francia l’inflazione viaggia al 2,8%, in Italia si prevede per dicembre un aumento al 3,8%. E l’impatto degli ulteriori maxi-aumenti delle bollette scattati a gennaio è ancora tutta da calcolare.

Allo stesso tempo, la ripresa forte partita dall’estate 2021 sta perdendo spinta propulsiva, con buona parte d’Europa che torna a misure di distanziamento sociale, e con i consumi messi a rischio dai rincari. Per questo la Bce, al Consiglio direttivo del 16 dicembre, ha confermato che il programma di acquisti di debito per l’emergenza pandemica Pepp terminerà a marzo, sostituendo parzialmente i mancati acquisti con il vecchio programma App. Ma lo ha fatto senza legarsi troppo le mani. É vero che il Next Generation Ue che entra a regime alleggerirà i bilanci nazionali. Ma una nuova emergenza pandemica potrebbe far riaprire il Pepp, rimettendo in discussione la exit strategy soft appena annunciata. Non è escluso che succeda, specie se l’inflazione, come nelle attese, mettesse la marcia indietro.

Le conseguenze rischiano di portare volatilità sull’Italia, con lo spread  da settimane su un sentiero rialzista. Secondo Unicredit i nuovi piani della Bce implicano circa 60 miliardi di acquisti “netti” di Btp italiani nel 2022: il 65% delle emissioni, quando nel 2020 e 2021 si era ben oltre il 100%.

Quella quota potrebbe salire in caso di necessità: la Bce si è data ampia flessibilità nell’uso del programma App, e soprattutto nel gestire i reinvestimenti dei titoli già comprati (350 miliardi italiani nel 2020 e 2021) che proseguiranno finché serve. Christine Lagarde ha rassicurato sulla volontà di prevenire qualsiasi inasprimento finanziario nei Paesi dell’euro. Ma nessuno può escludere un 2022 con una certa volatilità.

(di Domenico Conti/ANSA).

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